Quel che resta delle bufale

La notizia sul tumore del Papa e il dilagare di frasi come «non te lo vogliono far sapere, ma la verità è che...»
27 Ottobre 2015

Il sinodo si è concluso e i commentatori sottolineano come la maggior parte dei vescovi si sia espressa a favore di una chiesa più misericordiosa e più attenta ai bisogni e alle fragilità delle persone e delle famiglie di oggi. Papa Francesco sembra quindi meno solo nella sua opera di rinnovamento della Chiesa. Ma la bufala del tumore al cervello – che ricorda tanto il “metodo Boffo” di feltriana memoria, trasportato a livello planetario – raggiungerà i suoi obiettivi a medio e a lungo termine.

È noto infatti quel meccanismo della comunicazione (attenzione: comunicazione in generale, non solo sistema dell’informazione) per cui una bugia detta in pubblico è più credibile della verità e, anche quando smentita, resterà nella memoria della Grande Rete tanto quanto in quella delle singole persone. Le quali, in genere, hanno un incontenibile desiderio di dimostrare che sono furbe e che quindi non credono a quello che i vari “poteri forti” vogliono far credere, che sono capaci di vedere “che cosa c’è sotto”, che hanno ragione gli altrettanto vari detentori di verità alternative. Per cui sì, la cosa è stata smentita, ma sicuramente un fondo di verità c’è e non ce lo vogliono far sapere.

Per questo le bufale prosperano sui social network, condivise da liberi cittadini che si fanno sedurre da frasi del tipo: “non te lo vogliono far sapere, ma la verità è che…”. E che quindi hanno creduto davvero che l’autismo fosse causato dai vaccini, che i bambini vengono “rubati” alle famiglie povere per far prosperare le case famiglia, che il tumore si cura con il limone o il bicarbonato…

E il problema non è che hanno creduto che fosse vero, è che non riescono più a credere che non lo sia.

Tutto questo ha conseguenze disastrose, come ben sanno le molte persone ingiustamente accusate di azioni infamanti. Qualche anno fa un prete condannato per pedofilia ha pensato bene di portare con sé nell’abisso un po’ di compagnia, accusando una quindicina di sacerdoti – tra parroci, viceparroci e vescovi – di essere anche loro pedofili. Naturalmente non c’era nulla di vero e tutti sono stati scagionati, ma la cosa nel frattempo era finita sulle testate giornalistiche (da cui è sparita) e soprattutto sui social network (dove è ancora visibile, ad esempio in alcune pagine legate al M5S). Perciò è oggi rischioso valorizzare, all’interno dell’attività pastorale della diocesi, quei preti ingiustamente accusati, perché c’è sempre il pericolo che qualche parrocchiano focoso ripeschi dalle profondità del web quella storia e la rilanci, usandola come una clava contro il vescovo e l’universo mondo ecclesiale che non combattono abbastanza la pedofilia, nel contempo magari denunciando anche la lobby magistratura/diocesi/giornali, tutti insieme appassionatamente impegnati a nascondere la verità.

A pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, diceva Andreotti. E poi, si sa, se si pecca basta confessarsi, invece al passar per ingenui non c’è rimedio.

Infine, anche la bufala del tumore del papa si colloca dentro una Chiesa, anzi dentro un Vaticano, che i più amano dipingersi come un intrico di corridoi bui percorrendo i quali bisogna guardarsi alle spalle; stanze segrete piene di segreti; personaggi oscuri in oscure manovre affaccendati. E, laddove la coltellata non arriva da uno di questi, arriva dal fato o dalla Provvidenza, per chi ci crede.

Un esempio? Nel 1998 il vicecaporale Cedric Tournay ha ucciso il comandante delle Guardie Svizzere Alois Estermann e sua moglie Gladys e poi si è tolto la vita. La versione ufficiale non piacque e quindi furono avanzate varie ipotesi per spiegare ciò che era accaduto: Queste le principali:
– una relazione omossessuale tra il comandante e il suo sottoposto;
– un sicario inviato da stanze segrete del vaticano;
– una guerra tra Opus Dei e massonerie per il controllo delle guardie svizzere;
– la collaborazione di Esterman con la STASI;
– un complotto dei nobili svizzeri.

Su ognuna di queste ipotesi sono stati scritti fiumi di inchiostro e su ognuna sono stati pubblicati libri-inchiesta (tranne forse sull’ultima, un po’ troppo folkloristica). Il risultato? La verità meno incredibile è probabilmente quella ufficiale, ma l’immaginario collettivo ha avuto cibo per pascere.

Non so, nel caso della malattia del papa, chi abbia armato la pistola. Probabilmente qualcuno che non aveva argomenti seri per opporsi al cammino di rinnovamento sul quale il Papa sta guidando il suo gregge. Ma la pistola ha sparato e ha fatto centro.

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