Perché è difficile vivere con i buoni?

Non è vero che hanno un buon carattere: lo dimostrano i santi. E in più ti trascinano su strade che altrimenti avresti evitato.
4 Aprile 2016

I buoni hanno un buon carattere. Anzi no.

C’è un luogo comune per cui bontà è sinonimo di carattere debole, o mancanza di carattere (“è troppo buono, gli manca il carattere”). Se ne potrebbe dedurre che i buoni difficilmente riescono a condurre grandi battaglie, a realizzare grandi progetti. Si potrebbe, ma è meglio non farlo.

Perché, altrimenti, come si spiega che molti grandi santi avevano una carattere duro, complicato, a volte decisamente antipatico? Forse non erano buoni?

Di gente con caratteri difficili, è pieno il Vecchio, ma anche il Nuovo non scherza. A parte Gesù – uno che quando c’era da arrabbiarsi, come con i mercanti del tempio, non aveva remore, ma anche uno che diceva “non sono venuto a portare la pace, ma una spada” – potremmo ripescare Natanaele, uomo probabilmente colto, ma pieno di pregiudizi e senza peli sulla lingua, tanto da essere passato alla storia per aver sbottato “da Nazaret può mai venire qualcosa di buono”?. Frase che, se fosse stata spostata su Facebook ai nostri giorni, sarebbe stata classificata come hate speech.

Spesso il carattere dei santi è definito con termini che appaiono eufemistici. San Girolamo viene comunemente detto “focoso”, il che, per uno che suscitò consensi, ma anche grandi polemiche e che fustigò vizi e ipocrisie, appare quanto meno cautelativo. E come definire Savonarola, l’inquieto fustigatore odiato dai potenti del suo tempo e temuto da tutti gli altri?

Per passare a tempi recenti, potremmo ricordare che Don Orione diceva di avere “un carattere selvaggio”. I suoi studenti, che pure lo apprezzavano, ricordano di lui alcune occhiate in grado di paralizzarli all’istante.

San Pio, raffigurato sempre con uno sguardo dolcissimo, è conosciuto per il suo carattere “burbero” e i modi “spicci”, termine sotto i quali si cela la mancanza di gentilezza con cui trattava anche molti di quelli che gli si avvicinavano devotamente. Eppure, era considerato un santo, già in vita.

I santi sono buoni. Però hanno un grande bisogno di incidere sulle cose, di convertire le persone, di cambiare il mondo. E non puoi fare tutto questo, se non hai un carattere forte. Se non ce l’hai ti viene perché ti fai carico del dolore degli altri. Oppure perché non riesci e non vedere l’ingiustizia e questo ti fa arrabbiare. Oppure perché ogni giorno sperimenti quanto è difficile parlare con Dio…

Molti santi hanno fatto grandi opere. Non le fai se hai quello che viene comunemente definito un “buon carattere”.  Ildegarda di Bingen – che oltretutto era una donna in un mondo maschilista –  lasciò un convento ne fondò un altro, visse una fase di rapporti difficili con la comunità monastica maschile cui si appoggiava, tenne duro, ottenne la protezione dell’arcivescovo di Magonza e dell’imperatore, Federico Barbarossa, ma gli si mise contro quando entrò in contrasto col papato. Di quanti conflitti è cosparso il percorso di santità di Ildegarda? E di tutti quei santi che hanno fondato comunità e ordini, scuole e ospedali, opere pie e opere culturali…

“Fermezza di carattere”, forse è l’eufemismo adatto ai buoni. Quello che usano coloro che vivono accanto a loro, se è vero che, come si dice, per vivere accanto a un santo bisogna essere più santi di lui. E anche per vivere accanto ai buoni.

Molti anni fa Nick Hornby scrisse un romanzo, “Come diventare buoni”, in cui raccontava anche questo, e cioè come è difficile vivere con persone che hanno deciso di essere generose e costringono anche te a sopportare tutto quello di cui si fanno carico. Anche se non ne hai voglia.

Ricordo con ammirazione un buono dal carattere difficile: si chiamava Luciano Tavazza, ha dedicato la sua vita al volontariato, fondando il Movi e poi la Fivol (Fondazione Italiana per il Volontariato). Credeva nella gratuità e nella partecipazione, nei valori della Costituzione, nella Chiesa, che ha servito con fedeltà e laicità. Lavorarci insieme non era facile, ma ne valeva la pena.

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