Anche il cardinale Gualtiero Bassetti, durante la sua prima prolusione nell’assemblea permanente dei vescovi italiani, ha ricordato che l’accoglienza e l’integrazione dei migranti passano «anche attraverso il riconoscimento di una nuova cittadinanza». Su queste posizioni si è schierato gran parte del mondo cattolico più attivo e solidale, dopo che nei mesi scorsi la discussione sulla nuova legge è stata cancellata dal calendario del Senato.
In giugno monsignor Angelo Becciu aveva dichiarato: «vorremmo che si riconoscesse la dignità delle persone che arrivano nel nostro Paese e quindi, a chi nasce qui in Italia, venga riconosciuta la cittadinanza». In agosto papa Francesco ha ribadito che «nel rispetto del diritto universale a una nazionalità, questa va riconosciuta e opportunamente certificata a tutti i bambini e le bambine al momento della nascita»
E monsignor Francesco Montenegro, presidente della Caritas: «Non possiamo dire a bambini nati in questa terra, cresciuti accanto ai nostro ragazzi, che hanno studiato con loro e che forse non conoscono nemmeno più la lingua natia dei loro genitori, che non possono essere italiani. Se lo dovessero fare coi nostri italiani all’estero ci ribelleremmo».
E poi Fondazione Migrantes, Centro Astalli, Sant’Egidio, Acli, Azione Cattolica, Cisl, Sermig, e un lungo elenco di associazioni grandi e piccole, movimenti, parrocchie, ordini religiosi, riviste e media cattolici, con capofila “Avvenire”.
Eppure, la maggior parte dell’opinione pubblica – e tra questi anche molti cattolici – rimane visceralmente contraria. Perché?
Credo che, ancora una volta, pregiudizi e bufale facciano la parte del leone nell’informazione su questo tema. Non ci si informa e non si discute nel merito della legge, ma di astratti principi che, alla fin fine, coincidono con i pregiudizi, alimentati da forze politiche senza scrupoli, che sull’ignoranza basano il proprio consenso.
La legge, che è stata approvata alla Camera alla fine del 2015, e che da allora è ferma, introduce due criteri in base ai quali è possibile ottenere la cittadinanza: quello dello ius soli e quello dello ius culture.
Quando si dice ius soli, però, scatta un rifiuto immediato basato su un’idea sbagliata: che, cioè, chiunque nascerà in Italia avrà automaticamente la cittadinanza. Falso: quello proposto dalla legge è uno ius soli temperato – anzi molto temperato – in modo analogo a quanto avviene negli altri Paesi europei: un bambino nato in Italia diventa italiano a condizione che almeno uno dei due genitori sia regolarmente soggiornante in Italia da almeno 5 anni. Inoltre, se il genitore in questione non proviene dall’Unione Europea, sono necessarie altre tre condizioni: deve avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale; deve disporre di un alloggio idoneo; deve superare un test di conoscenza della lingua italiana.
Lo ius culturae, invece, prevede che possano chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni, purché abbiano frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero, che arrivano in Italia fra i 12 e i 18 anni, devono aspettare di aver abitato in Italia per almeno sei anni e di avere superato un ciclo scolastico.
Si tratta, secondo la Fondazione Moressa, di circa 800mila ragazzi: ragazzi che i nostri medici hanno curato, che i nostri insegnanti hanno educato, i nostri oratori hanno accolto… Negli anni successivi, poi, otterrebbero la cittadinanza 60mila nuovi italiani l’anno. Una cifra certo non spaventosa, e comunque non sufficiente a contrastare il calo delle nascite: secondo l’Istat la popolazione calerà di 2,1 milioni di residenti nel 2045 e di 7 milioni nel 2065.
È quindi falso anche che, grazie a questa legge, il nostro paese verrebbe invaso da cittadini islamici. Ma su questo punto le percezioni sono distorte rispetto alla realtà: secondo il sondaggio IPSOS MORI 2016, gli italiani sono convinti che ormai il 30% della popolazione sia costituito da immigrati (mentre sono l’8%) e il 20% da musulmani (mentre sono tra il 3 e il 4%). Inoltre, sempre secondo la Fondazione Moressa, fra i nuovi italiani due su tre saranno cristiani. Purtroppo, però, è sule percezioni, e non sui fatti, che ormai si fondano le scelte, anche quelle politiche.
Quella sulla cittadinanza è quindi una battaglia da portare avanti nel merito, perché si tratta di una legge che riconosce i diritti dei nuovi italiani facilitandone la definitiva integrazione, senza sconvolgere il Paese. Ma è anche una battaglia da portare avanti su un piano più generale, quello culturale: perché abbiamo bisogno tutti di reimparare a leggere la realtà basandoci un po’ di più sui dati e sui fatti e un po’ meno sulle percezioni. Con un po’ più di ragionevolezza e un po’ meno pancia.