Il 27 gennaio del 1945 il mondo veniva a conoscenza del profondo e oscuro male dei campi di concentramento. Una pagina terribile della storia dell’umanità che siamo chiamati a tramandare affinché ciò non possa più accadere in alcuna forma. Narrare alle nuove generazioni questa spaventosa conformazione del male non basta. Occorre chiedersi sul serio se si possa andare oltre il male. Filosofi, studiosi, teologi, letterati, scienziati, uomini e donne di cultura all’indomani della seconda guerra mondiale si sono chiesti come, dopo Auschwitz, si possa parlare di bene, di umanità, di Dio, di religione e di futuro. Di questi temi, e di molto altro, hanno discusso nel recente volume Oltre il male (Laterza, 2024) Edith Bruck e Andrea Riccardi.
La testimonianza della Bruck – poetessa e scrittrice ungherese che ha vissuto l’orrore dei lager nazisti – esposta nelle pagine del libro risulta assai significativa tanto per la lucidità nel narrare il passato quanto per la proiezione del valore della memoria per il presente e il futuro della comunità umana. Quando nel 1944 arrivò ad Auschwitz, l’adolescente Edith rimase colpita dalla frase posta sulla fibbia della cintura dei tedeschi. “Dio è con noi” (Gott mit uns) appariva in rilievo. Per lei ciò era la «negazione di tutto quello che aveva imparato sulla religione e su Dio fino a quel momento» (p. 33) poiché non era possibile che il Dio tanto invocato dalla madre per la loro salvezza fosse finito nella cintura dei nazisti.
Purtroppo la strumentalizzazione della religione e del nome di Dio non è una tematica insolita nella storia dell’umanità. L’Europa delle lunghe ed estenuanti guerre di religione ha lentamente appreso una laicità pluriforme messa di continuo a repentaglio da nostalgici estremismi o da pose intellettuali fuori dal reale quotidiano vissuto dalla gente. Dio è ritornato potentemente sulla scena politica quando nel giorno del suo insediamento Trump ha interpretato l’esito dell’attentato che ha subito come un segno divino posto nella storia non solo per salvarlo bensì per innalzare con prepotenza gli Stati Uniti d’America su tutte le altre nazioni. Come rivelano i conflitti resi noti dai media, il divino viene utilizzato ora per giustificare un sistema culturale ora per conquistare territori e gettare nella miseria e nella morte migliaia di persone. Alla benedizione di Dio ricorrono persino i killer della mafia prima di un omicidio e i terroristi durante un’azione distruttiva. Tutto ciò ci mostra che ha ragione la Bruck a sostenere l’assurdità di accostare il nome di Dio alle guerre, allo sterminio, alla morte, alle divisioni e alle sopraffazioni anziché all’amore, alla comunione, al bene dell’intera umanità.
Umanità che Edith ha in qualche modo ritrovato quando un cuoco durante la sua prigionia gli chiese come si chiamasse «Non potevo credere a quello che avevo sentito: io ero solo il numero 11152. Quando sei privata del nome e diventi un numero, non esisti più. È una esperienza orribile. Non hai nome, non sei assolutamente nulla, non sei più un essere umano» (p. 36). La pratica e la realtà della disumanizzazione non sono estranee alla nostra epoca. Mentre le immagini del bimbo siriano di tre anni Alan Kurdi continuano a turbarci dopo anni di distanza, le grandi potenze mondiali oltre a fomentare una cultura dell’invasione dello straniero costruiscono muri, prigioni, valichi. Inoltre, ovunque in Occidente, le correnti politiche nazionaliste aumentano le loro fila attraverso discorsi nei quali si evince una parte di umanità – spesso sparuta e alimentata da culture in necrosi – considerata prioritaria rispetto alla restante (American first, Prima gli italiani, Prima gli ungheresi ecc…). Secondo la Bruck viviamo in «un clima di pieno egoismo in Europa, e noi che ci preoccupiamo ci sentiamo completamente impotenti. Noi parliamo d’invasione dei migranti e ci sentiamo le vittime dell’invasione. Ma ci rendiamo conto?» (p. 55).
Dinanzi alle sfide della contemporaneità bisogna, come fa bene la Bruck, fare memoria sia per interpretare il presente sia per avviare processi di cambiamento culturale e politico. Infatti per lei è inutile dire «non possiamo cambiare il mondo. L’importante è fare, fare non smettere. Contribuire a cambiare, nel corso della tua vita, anche solo dieci persone ha senso, perché la tua sopravvivenza deve avere senso» (p. 43). In tal modo, dal male più cupo del Novecento arriva un’importante lezione fondata sull’umanità e sul senso di quest’ultima. Allora il “fare memoria” è il primo passo per costruire il futuro e, quindi, per andare oltre il male.
La reazione di fronte al male, a quella profonda sconvolgente esperienza in chi ha patito la Shoah l’abbiamo udito raccontare dai sopravvissuti e anche visitando il Memoriale Yad Vashem in Gerusalemme. Nella ricorrenza del giorno della Memoria, da Superstiti abbiamo udito parole:”Accoglienza dell’altro” Liliana Segre. Edith Bruck e….tutti coloro che promuovono e testimoniano con scritti e parole a tener viva la memoria di quel tanto male di cui l’uomo è stato capace. E però una reazione al 7 Ottobre ‘23 ha dato inizio a una nuova guerra Israele/Palestina, sorta come araba fenice a rinnovare il ricordo. Non si trova unguento efficace a certe ferite difficili da rimarginare, ma forse occorre determinazione e nobiltà di intento a farlo ogni giorno per superare il male con la pietra di inciampo che è promuovere ogni azione efficace a ribadire l’ inviolabilità della dignità della persona umana, il diritto a vivere la propria vita in pace