Il 7 maggio 1964, in una memorabile celebrazione dedicata gli artisti nella Cappella Sistina, Paolo VI chiedeva: «Rifacciamo la pace? quest’oggi? qui? Vogliamo ritornare amici?». Da lì in poi, tutti i pontefici successivi hanno cercato di ricucire il rapporto tra Chiesa e arte, un rapporto fecondo nel corso dei secoli che però si era interrotto nel tempo della modernità.
Le parole di Montini mi sono venute spesso in mente in questi mesi di pandemia, a partite da una domanda: ma cosa vuol dire “essere amici” tra Chiesa e artisti? E ancora: non è nel momento del bisogno, come dice la saggezza popolare, che si vedono gli amici? Ma soprattutto: nell’anno della fatica, delle chiusure, la Chiesa è stata amica degli artisti?
La risposta mi pare abbastanza lampante: no (salvo lodevoli eccezioni). E il fatto è sotto gli occhi di tutti: a parte la primavera scorsa, e l’estate un po’ ‘rilassata’ che ha permesso qualche manifestazione artistica all’aperto, con l’autunno, il clima rigido e soprattutto con la seconda ondata del covid le attività artistiche sono state impedite: spettacoli teatrali, cinema, concerti, presentazioni di libri, festival, e così via. Il tutto, però, mentre le chiese rimanevano aperte, con il rispetto dei protocolli sanitari (non sempre così rigidamente osservati: chi ha frequentato qualche Messa lo ha visto di persona, ma soprattutto i social si sono incaricati di mostrare alcune indulgenze eccessive, come le foto di gruppo sugli altari).
Dunque un grande edificio poteva ospitare 100 persone per il culto, ma un altro grande edificio non poteva ospitare 100 persone per uno spettacolo teatrale. Perché, mi chiedevo, non si possono applicare gli stessi protocolli dei luoghi di culto ai luoghi di cultura? Gli stessi, non più indulgenti, non più severi, poiché vi è anche il problema della sostenibilità economica dell’arte, che misure più dure rispetto ad altri luoghi (quando si parlava del 25% dei posti occupabili) inficiano molto. Ma mi pare che qui si sia creato un nodo, un problema da affrontare.
Confesso il mio disagio interiore, perché da una parte cerco di appartenere alla comunità ecclesiale, frequentandone i riti; dall’altra, da anni, mi occupo di teatro e conosco in presa diretta le fatiche degli artisti. E così mi sono chiesto più volte perché potevo andare a Messa la domenica e non potevo andare a teatro, oppure a un concerto, il sabato?
Un mio amico, ironicamente, mi ha risposto: «La lobby dei vescovi è più forte della lobby degli artisti, questo è il motivo». Vorrei sperare che non fosse solo per questioni di peso politico ed economico.
È chiaro che le decisioni riguardo ad aperture e chiusure sono delle autorità politiche. E sono anche dell’idea che l’esigenza del culto sia fondamentale e da tutelare; ma forse quella dell’arte, della bellezza, della riflessione no? Ritengo che in una società sempre più lanciata verso il consumo, dove conta solo il ‘saper fare’ a scapito spesso del ‘sapere’, dove contano l’intrattenimento e il divismo, avere dei momenti di lettura critica di sé e della realtà, di contemplazione della bellezza, di godimento estetico è non solo bisogno primario, ma anche mezzo di costruzione (o difesa) di una società più umana.
Si dirà: ma cosa c’entra in tutto ciò la Chiesa? C’entra, perché se un tuo amico soffre, tu non volti le spalle. Fino alla situazione paradossale, veramente irrispettosa e così simbolica dell’autoreferenzialità di alcuni ecclesiastici, per cui a Fiorano la Messa di Pasqua è stata proiettata nel cinema parrocchiale: lecito, certo, ma nella forma. Nella sostanza, è corretto? O non si tratta piuttosto di un atteggiamento così formale da svuotare la norma di ogni senso e manifestare indifferenza per quegli ‘amici artisti’ che non avrebbero potuto fare uno spettacolo, pur nello stesso luogo, con le stesse regole? O ancora, perché un quartetto d’archi non può suonare in teatro, mentre la Messa può essere (opportunamente) accompagnata dalla musica e dal canto del coro?
Insomma, rimane la sensazione che la legge sia uguale per tutti, ma per qualcuno è più uguale degli altri. Ed è un peccato, veramente, perché tutti sappiamo quanto la Chiesa, attraverso i suoi organismi, si sia mossa nell’azione della carità (le immagini delle code alle mense Caritas rimarranno come distintivo di un’azione generosa).
Allora, forse, non è che, ancora una volta, la Chiesa fatica a entrare in sintonia con la cultura, con l’arte e che quella proposta di Paolo VI è rimasta poco applicata anche per responsabilità ecclesiale? Non sarà che la pastorale della cultura, il sostegno all’arte sono considerati ‘attività marginali’? Sono passati più di cinquant’anni, ma la Chiesa ha ancora oggi un problema con la cultura e l’arte.
Dal 26 aprile, in zona gialla, si potranno riprendere le varie attività culturali, ma solo all’aperto, mentre le celebrazioni del culto andranno avanti come prima. Anche qui, un’incongruenza del legislatore.
Allora, da cristiani, possiamo fare qualcosa: in vista dell’estate, non sarebbe bello portare il teatro, la musica, la letteratura nelle chiese?
Nel rispetto dei protocolli, la Chiesa – a partire dalle parrocchie, dalle diocesi, dai centri culturali – potrebbe dare un mano, davvero, all’amico trascurato, mostrare che non gode di privilegi ma serve l’uomo, perché si ricorda delle sua fatiche, e così dare ospitalità all’arte. Là dove si celebra il rito, possiamo pensare anche di fare spazio agli amici artisti.
In fondo, non è stato così per secoli, generando opere di genio e grandezza? Avanti, torniamo amici…
Scusa Sergio, ma non capisco il tuo ragionamento. In che modo “rinunciare” alla Messa avrebbe avvantaggiato o aiutato in qualunque modo i lavoratori della cultura, e in che modo non farlo li avrebbe danneggiati? La società nel suo insieme avrebbe tratto qualche vantaggio dal fatto che oltre ai teatri fossero chiuse anche le chiese (o le sinagoghe)?
Le scuole elementari sono rimaste per lo più aperte, mentre le scuole superiori hanno trascorso quasi tutto l’anno in DAD. Gli alunni delle elementari avrebbero dovuto “rinunciare” ad andare a scuola per “solidarietà” con gli altri? E in che modo questo avrebbe giovato alla scuola superiore, e soprattutto alla società?
Detto questo sono più che d’accordo che il mondo della cultura sia un ospite benvenuto nelle chiese e nelle parrocchie, per solidarietà in un momento difficilissimo, e come buona prassi sempre, ma non certo per via di un poco chiaro senso di colpa per aver potuto andare alla Messa mentre i cinema erano chiusi!
Gentile Diletta, penso che, di fronte a una disparità sostanziale di trattamento (un ampio edificio può essere occupato mentre un altro no), sarebbe stato giusto ed empatico dare spazio – da parte delle autorità religiose – a richieste di apertura per trattamenti equi, mostrandosi nel concreto capaci di condivisione, di solidarietà e sim-patia. Allo stesso modo, avrei evitato di usare quegli edifici (cinema) chiusi per l’arte, ma aperti per proiettare delle Messe. Sinodalità è, letteralmente, camminare insieme. Non ho invece detto che ‘rinunciare’ alla Messa avrebbe avvantaggiato l’arte (mi pareva chiaro che questa tesi non fosse presente nel mio articolo). Fuorviante anche il paragone tra alunni delle elementari (bambini) e delle superiori. Diverso sarebbe stato se – per stare al suo esempio, in astratto- avrebbero aperto per gli adolescenti i licei e tenuto chiusi gli istituti tecnici: questo avrebbe dovuto spingere i liceali a protestare per una differenza di trattamento.
In un Terrasanta viaggio, su una altura di deserto, su un tavolino aperto e con calice e patena, si è celebrata una Messa, il luogo è diventato degno per questa compartecipazione umano-divina. Dovunque così si concelebri Dio è presente tra i suoi diventa un Suo luogo, la Sua Casa, anche in un cinema se fosse utile, quel posto perde il suo limite perché entra qualcosa di più grande; non viceversa, sarebbe un far uscire Dio dalla Sua Casa, così come in una conosciuta parabola si è pronunciato il Figlio. La domenica pomeriggio in TV viene trasmesso un commento al Vangelo da un sacerdote il quale ne fa un gioiello di apprendimento per l’ascoltatore, partendo anche dalla storia della chiesa che ne el’ambone! Storia di uomini, vicende che l’arte mantiene alla conoscenza di generazioni, Parola di Dio che trova realtà rispondente a Verità, non fantasia, invenzione passatempo, ma su cui lasciare nella mente segno a riflessione di fede
Premesso che io usavo la logica et-et, comunque non dico che si manchi di rispetto agli artisti (cinema è generico, guardiamo le persone) celebrando una Messa, ma celebrando una Messa in un cinema, che non può essere aperto per manifestazioni culturali per il quale quell’edificio è pensato – nel rispetto dei protocolli sanitari – mentre nello stesso luogo si possono radunare delle persone per assistere al video di una Messa. “Nell’insegnamento della carità, l’evangelo ci inculca il rispetto privilegiato dei poveri e della loro particolare situazione nella società: i più favoriti devono rinunziare a certi loro diritti per mettere con più libertà i propri beni a servizio degli altri. In effetti, se al di là delle norme giuridiche manca un senso più profondo del rispetto e del servizio altrui, anche l’uguaglianza davanti alla legge potrà servire di alibi a evidenti discriminazioni, a sfruttamenti continuati, a disprezzi effettivi.” (Paolo VI, “Octogesima Adveniens”)
Io personalmente non ho trovato affatto contraddittorio che i luoghi di culto siano rimasti aperti al pubblico mentre i luoghi della cultura no. Senza nulla togliere alle manifestazioni culturali delle quali anche io sento la mancanza più che mai, mi sembra sconcertante mettere le due cose sullo stesso piano, soprattutto da parte di un credente.
Definire “irrispettoso” l’uso di un cinema, per di più parrocchiale, per permettere la fruizione della messa poi francamente mi ha fatto sorridere perchè siamo al paradosso: Dio non voglia che addirittura si manchi di rispetto al cinema celebrando la messa!! (Mi sembra di sentire, al contrario, quelli che si scandalizzano se in chiesa si tiene un concerto;)