Monica e la fede precaria

Mi chiedo quanto serva agli uomini e alle donne di oggi offrire percorsi “ordinati”, “canonici”, “assicurati” o uscire verso le periferie della vita e rintracciare le presenze di Dio anche la dove non te lo aspetti.
26 Aprile 2013

Mentre vado verso il banco del pesce mi dico tra me e me: “Eppure quegli occhi li ho già visti … Un genitore di un alunno? Mah… L’Alzheimer avanza!” Una signora distinta, sicura, un po’ indaffarata, ma essenziale e concreta come sanno essere le mamme. Un po’ trascurata, ma dai lineamenti molto belli. E soprattutto quello sguardo che sa di esperienze, anche dure, che hanno pulito il fondo e portato a galla l’essenza dell’anima. 

Alla cassa ovviamente c’è sempre fila. E nell’indovinare la più veloce decido per quella di destra. E mentre aspetto, sento una voce dietro: “buongiorno, prof.” E, mentre mi giro e incrocio quello sguardo, resto incredulo: una mia ex alunna?? E la sua voce mi fulmina: “Si ricorda di me?” Il mio sguardo forse è più eloquente di mille pietose bugie. E infatti lei mi anticipa liberandomi dall’imbarazzo. “Monica, Monica Succi. 5°A. Eh, son passati secoli ormai. Ma lo sa che lei non è proprio cambiato per nulla”.

La “captatio” è evidente. Glisso e prorompo in un: “Oh, ma che piacere vederti. Ti avevo incrociato prima, di là al pesce, e mi stavo chiedendo dove avevo visto i tuoi occhi!” Sorride e abbassa lo sguardo. E poi continua: “Lo sa che ogni tanto lei mi viene in mente? A volte vado ancora dalle “suorine” a fare delle chiacchiere. Sono straordinarie!”

E come un lampo improvviso, un flash attraversa il mio deserto mentale. Sono appena fuori da un monastero di clausura della mia città, con una seconda classe. Siamo usciti da un incontro con tre suore domenicane, fresche e giovani. E mentre cerco di riportare la classe intera a scuola, Monica mi si affianca. “Prof. ma come fanno?” “A fare che? – le rispondo”. “Ad essere così felici! Boia, si vede proprio che sono contente di essere lì. Quando ci ha proposto di incontrare le suore mi è venuto male e pensavo che sarà una palla gigantesca. Invece … “. “Ché, vuoi farti suora? – ribatto tra il serio  e lo scherzo”. “Ma prof!! Ma mi ci vede?? No, no, però sono quasi invidiosa di quella felicità…” Era rimasta lì, questa frase, come un masso erratico associata a Monica. E poi si era persa nella memoria.

“Ah certo, le suorine! Ma dai? Davvero ci vai ancora? – le dico” “Si, si, lei non a quanto bene mi fanno. Non è che sono diventata una di Chiesa, però è incredibile, quando vado lì, non so, quel silenzio, quella atmosfera raccolta, e soprattutto il loro modo di vedere i problemi e le cose della vita… mi fa un bene…!”  “Bello, mi fa davvero piacere che un filo di quello che hai vissuto a scuola continui a darti tanto…”. 

E mentre usciamo dal supermercato mi racconta di un marito che le ha fatto male, di due figli da tirare su da sola, di un lavoro che potrebbe diventare precario. Ma anche di una voglia di vita e di sincerità che a quarant’anni non si è ancor spenta. E di una fede strana, parziale, e fuori dagli schemi, che però sembra fresca e concreta. E mi dice: “Quelle suore mi hanno fatto capire che ci sono donne così brutte, ma così brutte, la cui unica bellezza è quella fisica. E ci sono uomini così poveri, ma così poveri, la cui unica ricchezza è un portafoglio pieno. Io ho incontrato un uomo così. E, se Dio vuole, ho deciso che non voglio più essere una donna così.”

Le vie del signore sono infinite. E arrivano anche dentro ad una vita interrotta e faticosa. E non hanno paura di una fede precaria e di una spiritualità dell’istinto che traccia percorsi fuori rotta, ma che lentamente fanno affiorare una direzione chiara e sincera. E sanno dare senso anche ad appartenenze parziali, che lentamente cercano di ricucire le nostre ferite e aggiungere alla signoria di Cristo altre parti di noi. 

Perché, nonostante questa post-modernità tenti di uccidere l’uomo frantumandolo dentro, la verità di sé stessi riemerge ovunque, soprattutto se costretta ad attraversare il dolore. E mi chiedo quanto il nostro tentativo di Chiesa di difenderci da questa cultura sia più un vantaggio che uno svantaggio. Quanto serva agli uomini e alle donne di oggi offrire percorsi “ordinati”, “canonici”, “assicurati” o uscire verso le periferie della vita e rintracciare le presenze di Dio anche la dove non te lo aspetti. Anche alla cassa di un supermercato. E mi chiedo: “Dovremmo aiutare donne così o dovremmo imparare da donne così?

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