LA SOLIDARIETA’ CONVIENE

Un'economia di tutti e per tutti è davvero possibile - ha detto il Papa agli imprenditori - «a patto che la semplice proclamazione della libertà economica non prevalga sulla concreta libertà dell'uomo e sui suoi diritti
1 Marzo 2016

Incontrando per la prima volta gli imprenditori, sabato 27 febbraio, papa Francesco ha pronunciato parole cortesi, ma chiare, nel ricordare loro che il profitto non è tutto. Anche per loro, gli imprenditori, che ogni giorno combattono la loro battaglia per galleggiare sui mercati del mondo, far crescere le loro imprese vincendo la concorrenza e accumulando – appunto – profitti. Che altro dovrebbe fare un imprenditore? Secondo il Papa, contribuire «a una società più giusta e vicina ai bisogni dell’uomo».

A loro, proprio a loro, che si preoccupano non appena i consumi scendono di mezzo punto percentuale, il Papa ha ribadito l’importanza di riflettere sui valori e sui modi di agire «che permettono una concreta alternativa al modello consumistico del profitto a tutti i costi».

A loro, abituati a vivere in concorrenza e in competizione, ha ricordato l’importanza di “fare insieme”, che «significa investire in progetti che sappiano coinvolgere soggetti spesso dimenticati o trascurati».

A loro, che per definizione hanno come obiettivo il profitto, ha detto che sono chiamati «ad essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo “umanesimo del lavoro”».

Intendiamoci, per il Papa quella degli imprenditori è «una nobile voca­zione orientata a produrre ricchezza e a migliora­re il mondo per tutti» (Laudato si’, 129), ma il sistema in cui sono immersi – e di cui sono gli artefici – va in un’altra direzione. Una direzione che ha analizzato ampiamente nella Laudato Si’: quando il mondo è dominato dalla logica del profitto, si impoverisce.

L’ambiente: «quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la preservazione degli ecosistemi. Ma il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere» (Laudato Si’ 36).

Le persone: «La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense disuguaglianze, ingiustizie e violenze per la maggior parte dell’umanità, perché le risorse diventano proprietà del primo arrivato o di quello che ha più potere: il vincitore prende tutto» (82).

Il lavoro e il capitale sociale: «l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine… La riduzione dei posti di lavoro “ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del “capitale sociale”, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile» (128).

Lo sviluppo, soprattutto dei Paesi poveri ma non solo: le imprese «fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale… lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere» (51).

La “nobile vocazione” degli imprenditori si realizza se non si lasciano sopraffare dall’assolutizzazione della logica del profitto. Questo papa non crede all’assioma del neoliberismo, per cui se si sviluppa il mercato, piano piano il benessere ricadrà su tutti dappertutto: il mercato da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale. Non risponde a quella «questione essenziale di giustizia», che ha il fondamento etico nel fatto che «la terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno» (159): non è solo nostra, anche se noi ne siamo responsabili.

Di qui nasce l’invito che il 27 febbraio ha rivolto agli imprenditori: “fare insieme” per creare un modello di impresa che punti sì, al profitto – altrimenti che impresa sarebbe? – ma mettendo al centro le persone: le famiglie, le categorie più deboli e marginalizzate, come gli anziani o i giovani «prigionieri della precarietà o di lunghi periodi di disoccupazione».

Fare insieme per creare lavoro e attraverso di esso restituire la dignità delle persone. Fare assieme perché la via maestra è quella della giustizia, che costringe «a rifiutare categoricamente che la dignità della persona venga calpestata in nome di esigenze produttive, che mascherano miopie individualistiche, tristi egoismi e sete di guadagno». Fare assieme per costruire bene comune, «perché cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia “insensibile allo sguardo dei bisognosi” (Sir 4,1)».

Un’economia di tutti e per tutti è davvero possibile, «a patto che la semplice proclamazione della libertà eco­nomica non prevalga sulla concreta libertà dell’uomo e sui suoi diritti, che il mercato non sia un assoluto, ma onori le esigenze della giustizia e, in ultima analisi, della dignità della persona. Perché non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza il rispetto della dignità di ciascuno».

Davvero, la solidarietà conviene.

 

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