La coscienza sociale, baluardo di democrazia

Se nelle nostre realtà ecclesiali non riapriranno gli spazi di confronto politico autentico, lentamente si spegnerà la nostra coscienza sociale, ultimo baluardo contro il dominio sulle masse dei grandi potentati economici.
27 Marzo 2021

«Chi dice “io non sono razzista ma…” è un razzista ma non lo sa!» Così il cantante Willie Peyote punta il dito contro l’ipocrisia di chi apparentemente prende le distanze dall’agone politico, ma vi entra, per così dire, a gamba tesa, con opinioni che esprimono un conflitto ancora più violento. In passato si parlava di “maggioranza silenziosa”, adesso è la via di accesso per il populismo: alla base c’è un presunto innocuo rifiuto dell’impegno politico, che nei contesti dove la democrazia è più debole porta all’abbattimento della coscienza sociale, unico argine ai governi autoritari.

Per decenni, in Italia, i più importanti luoghi di aggregazione, tra cui le parrocchie, hanno coltivato questo argine sviluppandosi anche come laboratori politici: per pianificare azioni sul territorio, dare voce alle minoranze, aiutare i più deboli o coinvolgere i cittadini in dibattiti a riguardo dei loro interessi. In alcuni casi hanno costituito vere e proprie “spine nel fianco” per i poteri meglio organizzati, leciti o illeciti: basti pensare al preziosissimo lavoro che hanno compiuto con le loro comunità sacerdoti scomodi, come Pino Puglisi, Andrea Gallo o Roberto Malgesini, che in alcuni casi hanno pagato con la vita il proprio attivismo.

«A me non importa sapere chi è Dio!» diceva il sacerdote martire Peppe Diana, «A me importa sapere da che parte sta». Parole fortemente politicizzate, osteggiate chissà da quanti altri cattolici, che però sono riuscite a motivare e incoraggiare centinaia di brave persone, per le quali condurre una vita serena ed onesta era di per sé lotta al malaffare organizzato.

Tuttavia la Chiesa istituzionale ha sempre guardato con sospetto all’attività politica del popolo cristiano: con l’annessione di Roma al Regno d’Italia, fu Pio IX a dire che non expedit, non conviene che i cristiani si impegnino nella vita civile di uno stato laico; un secolo più tardi, fu iconico il rimprovero che Giovanni Paolo II mosse al sacerdote nicaraguense Ernesto Cardenal Martínez per essere sceso in politica. Dal canto suo, in una delle sue frasi più famose, il sacerdote brasiliano Hélder Pessoa Câmara constatava che «quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista».

Eppure, i valori che hanno ispirato il primo partito dichiaratamente cristiano, il Partito Popolare con cui Luigi Sturzo nel 1919 infranse finalmente il non expedit, avevano un carattere fortemente sociale: dall’integrità della famiglia al voto alle donne, dalla libertà dell’organizzazione sindacale all’imposta progressiva, fino al disarmo universale. Insomma, posizioni nette, che hanno portato molti cattolici italiani, vent’anni dopo, a prendere parte al movimento di Resistenza all’invasione nazista e di Liberazione dal regime fascista, nonché a partecipare attivamente alla ricostruzione del paese. Niente a che vedere con gli inviti all’astensionismo a cui abbiamo assistito nella prima decade di questo millennio, ma più vicino alle dichiarazioni di papa Francesco a favore dei dimenticati del mondo: come il sorprendente ringraziamento ai Curdi al termine del viaggio in Iraq, che ha permesso al sacerdote e giornalista Filippo Di Giacomo, che commentava l’evento in Italia, di fare un velato riferimento a favore di Eddi Marcucci, combattente contro l’ISIS insieme alle donne soldato del Kurdistan, ma condannata in Italia per terrorismo.

Favorire l’allontanamento delle persone dal dibattito pubblico le ha indebolite, trasformando in masse acritiche quelle che potevano essere comunità consapevoli. La lotta contro il relativismo etico e a favore dei valori non negoziabili, propugnata da una certa parte della Chiesa istituzionale, ha indebolito il confronto a livello locale, favorendo la diffidenza verso l’attivismo politico. Nei paesi dove il conflitto sociale è più marcato, questo ha reso il popolo sempre più ignorante e manipolabile, esautorandolo dalle decisioni importanti.

È un po’ quello che è successo in El Salvador, in cui le recenti elezioni hanno premiato a tal punto il partito populista del presidente Nayib Bukele da fargli ottenere da solo la maggioranza qualificata del Parlamento. Il “presidente millennial”, come viene soprannominato, deve il suo successo non tanto alla chiarezza delle decisioni politiche, quanto all’efficacia della sua comunicazione social. Nel prossimo triennio il parlamento salvadoreño prenderà decisioni importanti, in pratica senza avere un’opposizione (dalla elezione di alte cariche, alle riforme costituzionali). Ad esprimere preoccupazione sul futuro del paese (per molti aspetti già satellite degli USA) sono non solo i partiti tradizionali, ma la gran parte delle forze sociali, che negli ultimi trent’anni hanno lavorato in condizioni proibitive per difendere i diritti umani, favorire la partecipazione delle fasce più deboli alle decisioni politiche e per dare compimento all’opera iniziata da San Oscar Romero, «voz de los sin voz». Tutto questo lavoro si poggia su un fragile equilibrio, che rischia di perdersi definitivamente sotto la spinta dei grandi poteri economici.

La mia generazione ha visto sgretolarsi negli ultimi vent’anni le grandi ideologie e ormai affronta con grande disincanto e individualismo la vita politica. Se tuttavia nelle nostre realtà non riapriranno gli spazi di confronto autentico, lentamente si spegnerà la nostra coscienza sociale, ultimo baluardo contro quella che Polibio considerava la peggior forma di governo, l’oclocrazia (il dominio delle masse). Diventando adulto, mi sono reso conto che assumersi la responsabilità delle proprie scelte (accettando il rischio di poter sbagliare) è l’unica via che può portare al dialogo di pace. Chi si volta dall’altra parte, credendo di sottrarsi ad uno spiacevole conflitto, si sta solo schierando col più forte, ma senza rendersene conto.

 

3 risposte a “La coscienza sociale, baluardo di democrazia”

  1. Giuseppe Sgulo’ ha detto:

    Purtroppo negli ultimi anni, l’attività politica è stata abbandonata specialmente dalla nostra gioventù, secondo il mio parere , un po’ a causa del populismo imperante, un po’ per la. crisi che ha investito tutti i partiti a partire da Mani pulite. Urgente e necessario sarebbe una presa di coscienza circa l’importanza dei partiti per la gestione della cosa pubblica

  2. Paola Meneghello ha detto:

    Beh, non solo nelle realtà ecclesiali, bisognerebbe riaprire gli spazi. ..
    A parte la battuta, viviamo in un tempo sospeso, e forse lo è un po’ anche la democrazia, e certamente è un problema di apertura di Coscienza interiore, perché nulla cambia se non “cambiamo verso” noi.
    È tempo che, come dice Don Ciotti, Cielo e terra possano unirsi, e lo dico perché penso che un uomo che non riconosce più il Sacro in sé, e non vede lo stesso Sacro in tutte le cose, non riconosce certo la Giustizia, perché non sa immergersi nella Vita, anzi ne ha paura, e gioca in difesa, per sé , sentendosi altro da tutto e da tutti.
    Una chiesa profetica, secondo me, non può non essere anche mistica, che non vuol dire fuori dal mondo, ma immersa nel mondo, nella natura, nella Vita, come l’Uomo che deve venire..

    • Francesca Vittoria vicentini ha detto:

      LA Chiesa sta agendo in parallelo con la vita politica, Papà Francesco partecipa facendo vaccinare tot numero di cittadini, in presenza caritativa dentro il proprio Stato e in altri nel mondo, toglie qualcosa a chi sta meglio per dare a chi sta peggio Pratica giustizia, la insegna senza interferire. Succede anche, che non vaccinate in tempo persone muoiano, sale il N.o invece di dim.re Le cause appaiono essere dispos. diverse da regione a reg.,voci da partiti anziche cordoglio, si attribuiscono meriti,critiche reciproche, Ma il popolo è uno!non sono i Sanitari unica voce che sanno e operano a conoscere la sit,né che conta per tutto il Paese,?Si tratta di affrontare un male che è per tutti uguale, coscienza e ragione insieme a senso di responsabilità, Di fronte a una persona morta per motivi altri c’è da provare magari non solo pena ma forse anche peso di coscienza no?Incredibile la solit.ne con tanti strumenti inventati manca alla persona la parola del cuore!

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