Leggendo un libro sulle bufale (“Misinformation. Guida alla società dell’informazione e della credulità“, di Walter Quattrociocchi e Antonella Vicini, FrancoAngeli 2016) scopro che, secondo un sondaggio, il 4% degli americani crede che i rettiliani esistano davvero. Significa, che nel continente simbolo del progresso ci sarebbero all’incirca 12 milioni di persone che prendono per vera questa narrazione fantastica. Non ci posso credere. Eppure facendo un rapido giro su internet in italiano ho trovato una marea di siti e di contenuti che spiegano chi sono, cosa fanno, come si riconoscono, come ci si può difendere (se ci si può difendere) da questi esseri alieni che si possono incarnare in chiunque (e ovviamente si sono infilati anche nell’ex presidente Obama nella famiglia reale inglese, in Berlusconi e via elencando). Dunque, anche da noi i rettiliani godono di una certa popolarità.
Questa constatazione mi ha riproposto la domanda: perché siamo così creduloni? Domanda che, devo dire, mi si è posta spesso e in diverse situazioni: osservando come certi amici ripongano fiducia cieca e inspiegabile in alcune pratiche salutistiche che dovrebbero garantire vita quasi eterna; o come in quella trasmissione televisiva in cui bisognava indovinare i pacchi vincenti la gente attribuisse ai numeri i significati più diversi; o come certa gente riesca a costruire teorie “scientifiche” sui numeri del lotto che non escono; o come proliferino oroscopi e maghi… Domanda che, soprattutto, mi si pone quando mi aggiro per i social network e devo prendere atto che la gente crede alle bufale e alle teorie complottiste più assurde. E che a crederci non sono solo le persone semplici, di cui potresti pensare che non hanno gli strumenti culturali per affrontare in modo ragionevole alcune affermazioni, ma anche esponenti politici di noti partiti, che affermano pubblicamente di credere nelle scie chimiche, che non è vero che nel 1969 siamo sbarcati sulla luna e che i vaccini fanno venire l’autismo. Persone che dovrebbero rappresentarci e governarci, cioè aiutarci ad affrontare i problemi comuni, e non si capisce come possano farlo se pensano che il mondo sia governato da qualche superpotere non meglio identificato, causa di tutto ciò che ci succede e anche di quello che non ci succede.
Perché il complottismo, alla fin fine è questo: attribuire ad una volontà superiore – irraggiungibile e incondizionabile – la causa di quello che non riusciamo a spiegarci. In fondo è una forma di superstizione, se con questo termine intendiamo una credenza irrazionale accettata acriticamente, che proprio per questo influenza pensiero e azioni delle persone che la condividono.
I social sono diventati il luogo privilegiato per diffondere le teorie complottiste e fare proseliti, anche se in realtà queste teorie esistevano molto prima della diffusione massiccia di internet, proprio perché rispondono ad esigenze di base: trovare una causa a quello di cui non riusciamo a vedere le cause reali; spiegare il mondo, che invece è in gran parte inspiegabile.
Di questi tempi però una serie di fattori ci fanno cedere con più facilità al complottismo e alle nuove superstizioni.
Una è la diffidenza e la sfiducia negli altri, nelle istituzioni e nel futuro. La diffidenza porta a cercare spiegazioni “alternative”, a rifiutare quelle che vengono dai mondi organizzati, istituzionalizzati, compreso quello della scienza.
Una seconda è la morte degli ideali: non esistono più valori condivisi, priorità su cui fondare delle scelte, visioni da realizzare per costruire un mondo migliore. Anzi questa idea, che ci si possa impegnare per un mondo migliore, appartiene a quei polverosi ricordi del passato, che al massimo fanno un po’di tenerezza.
La terza è che non crediamo più in Dio e rifiutiamo la religione. La perdita della fede non ha restituito al mondo più razionalità e neanche più ragionevolezza, solo più incertezza e confusione. E scopriamo che la fuga dalla religione organizzata si è impelagata negli acquitrini dell’irrazionale. Siamo meno credenti e più creduloni.
Quattrociocchi e Vicini, nel libro citato, vedono un’affinità tra pensiero “quasi-religioso” e teorie del complotto: «Il motore principale della diffusione di queste teorie risiede nei tratti di familiarità che assumono. Il pensiero quasi-religioso… non implica la completa comprensione razionale del processo osservato; allo stesso tempo, i dettagli di una teoria del complotto non sono sempre chiari e palesi, anzi, spesso sono frammenti di informazioni rubate, non ufficiali, tenute volutamente nascoste e, quindi, non verificabili». E aggiungono che «Il luogo ideale per la loro diffusione sono soprattutto le società laiche postindustriali.» È proprio qui, infatti, che sono più numerosi quelli che fuggono dalle religioni (come anche delle “ortodossie politiche”) e le sostituiscono con raffigurazioni “alternative” della realtà, grazie alle quali trovano i capri espiatori cui attribuire le colpe e burattinai cattivi cui attribuire le cause di ciò che succede. Senza doversi mettere in discussione né impegnare.
La verità non è a portata di mano. Per vederla – o magari solo intravvederla – si deve faticare. Ma soprattutto bisogna seguire le vie della ragione, non solo quelle della pancia; la via dell’amore, non solo quella della sfiducia rancorosa; la via della fede non certo quella della superstizione.
Quando si è persa la vera fede non si diventa increduli ma paradossalmente si crede a tutto!
Diceva Marx:”La religione è l’oppio dei popoli”, hanno tolto la religione è rimasto l’oppio.