Di che cosa discutiamo ( oltre Berlusconi)

Stiamo discutendo di come la sensibilità cattolica oggi in Italia si pone di fronte alle questioni morali. E forse anche più in la, di come ci sentiamo di fronte al tema del male e del peccato.
21 Febbraio 2011

Non riesco ad appassionarmi. E dire che ci ho provato. Ho letto diligentemente e con pazienza gli articoli e i commenti. Ma è più forte di me. E finisce spesso che dopo le prime righe ho già capito come va a finire.

Questa vicenda di Berlusconi che sta dividendo gli animi dei cattolici. E il bello è che se entro nel merito anche io finisco per essere assorbito dalla inevitabile scelta: pro o contro. Perciò non lo farò. Ma l’altra mattina, mentre pedalavo nella nebbia per andare a scuola, un dubbio mi ha raggiunto. E dopo qualche curva e qualche semaforo è diventato una certezza. Se vale la pena spendere qualche tempo per questa faccenda non e’ certo per Berlusconi. Non stiamo discutendo di Berlusconi. Stiamo discutendo di come la sensibilità cattolica oggi in Italia si pone di fronte alle questioni morali. E forse anche più in la, di come ci sentiamo di fronte al tema del male e del peccato.

Beretta stigmatizza. Tornelli, in modo più equilibrato, richiama la pietas. Alcuni commenti difendono a spada tratta il premier. Altri trasudano rancore nei suoi confronti. In verità ognuno usa ragionamenti, ma si legge chiaramente che ciò che fa pendere la propria posizione è una appartenenza emotiva, un sentimento. E, ripartendo dal semaforo rosso, mi sono chiesto: è più cristiano sentire indignazione di fronte alle accuse morali di cui non ci sono prove o sentire “pietas” per un possibile peccatore pubblico? 

La questione secondo me non si risolve sul piano della logica. Ogni ragionamento è buono per tirare la realtà dalla propria parte. Ammesso che stiamo a ragionare sulla realtà e non su interpretazioni. La questione forse trova più luce sul piano emozionale. Cosa mi fa più figura, l’indignazione per il male pubblico? O la misericordia per il peccatore? E credo che qui la scelta della CEI di dedicare il decennio in corso ad una nuova educazione alla fede sia proprio azzeccata. 

Fino a qualche decennio fa la questione si sarebbe risolta subito, segnalando pubblicamente la non accettabilità sociale del male e nello stesso tempo accogliendo privatamente il peccatore che voleva pentirsi. Se oggi le cose non vanno più così potrebbe essere anche un bene, visto con gli occhi di chi vuole una Chiesa integerrima, che non usa due pesi e due misure. Ma in questo modo si perde comunque uno dei due lati della medaglia. Così come è evidente che l’accettazione pubblica del male è non accettabile sul piano di fede e un peccatore non può mai essere raggiunto dalla grazia se  non si converte. Il cristianesimo è sempre et-et e mai aut-aut. Perciò non credo che la soluzione sia dare ragione a una delle due parti, qualunque essa sia. 

Allora educare nuovamente alla fede inizia proprio dalla riconsiderazione delle emozioni che ad essa sono legate, dei vissuti personali che spingono una persona a sentire più cristiana una delle due posizioni. In realtà poi sono ben più di due a guardare bene. Voglio dire che la vicenda di cui stiamo ragionando mette a nudo uno dei problemi che oggi la Chiesa si trova ad affrontare nel bel mezzo di un cambio epocale: siamo in grado di definire e riconoscere una grammatica delle emozioni delle fede? Non è più questione di ragioni teologiche. L’appartenenza si gioca su un piano più emotivo. Il peccato si vince allontanandolo da sé e cercando di metterlo al bando socialmente o assumendolo e attraversandolo nella direzione dell’amore?

Detto in modo più generale: fa muovere di più verso il regno di Dio una appartenenza alla fede generata da una emozioni di purezza, di identità sociale definita e integra, che spesso poi nel personale è disattesa, o una emozione di misericordia e di accoglienza, che diventa spesso lassismo morale anche socialmente riconosciuto?

E mentre sul vialetto d’ingresso a scuola dribblo gli studenti assonnati, mi  viene in mente Zaccheo: “Scendi, oggi voglio fermarmi a casa tua”. E lui: “Se ho rubato restituisco quattro volte ai poveri”. Ecco mi sembra che oggi manchi questo. La capacità di stare di fronte al peccato senza lasciarsi scandalizzare e al tempo stesso di essere capaci di parlare al cuore del peccatore perché si converta e viva.

La campanella suona e la realtà mi rapisce. Entro in classe canticchiandomi De andre’ “Nella Pietà che non cede al rancore, Madre ho trovato l’amore”.

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