Un lavoro da cercatori

Un semplice episodio, nella frenesia del quotidiano, per scoprire l'importanza di essere attenti ai piccoli segni.
3 Ottobre 2019

Da quando la zia suora è stata trasferita a Milano, ogni tanto vado a trovarla. I miei tempi, però, sono sempre più stretti e stavolta sono arrivata davvero all’ultimo. Lei mi aspetta alla stazione centrale e ci avviamo con passo svelto verso la metropolitana, faremo tardi per la cena…

Al cancelletto mi si incastra il biglietto e mi attardo un poco, resto due o tre passi dietro di lei. Mi affianca una coppia di giovani, penso fratello e sorella perché si assomigliano molto. Lui è ancora un ragazzo, lei avrà circa ventidue, ventitre anni, è vestita total black, il trucco pesante, numerosi tatuaggi e piercing. Mi passano davanti, vedono la zia che mi precede con la sua veste nera e il velo, e la giovane si fa un ampio segno di croce. Poi superano anche lei e spariscono.

Questione di un attimo, forse solo io tra la folla ho potuto cogliere il gesto, che mi stupisce molto. L’aspetto non era certo quello di una ragazza abituata a frequentare gli ambienti ecclesiali. Di cosa si è trattato? Di un segno di rispetto? O di superstizione, scaramanzia?

Ok, magari mi sbaglio, ma di certo ho sentito risuonare l’eco di un’educazione cattolica ormai lontana, ma non del tutto sopita.

E mi sono chiesta: sappiamo intercettare queste sensibilità? La nostra pastorale è attenta a questi piccoli segni, che vanno controcorrente rispetto a tante analisi pessimistiche? Sì, controcorrente, perché dicono di un sostrato ancora presente, a cui forse sarebbe possibile attingere per quel cammino di nuova evangelizzazione di cui si avverte sempre più chiaramente l’urgenza e che oggi, oltre che come compito di seminatori, ho visto delinearsi come lavoro da cercatori.

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