Se il rispetto diventa il primo dei valori

Lo dice sorprendentemente una generazione cresciuta in un tempo e in una cultura che ha fatto dell'assoluta libertà la propria bandiera.
29 Gennaio 2015

“C’è campo?” è il titolo di un’indagine sociologica molto interessante che riguarda il rapporto dei giovani con la spiritualità e la religione. E’ stata realizzata dall’equipe dell’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto nel 2010: è vero, per una ricerca sociologica quasi cinque anni di età sono tanti e quindi, nel proporla ai miei studenti della specializzazione in teologia pastorale, avevo premesso la necessità di relativizzarla tenendo conto della velocità con cui le cose, oggi, sono solite cambiare. Non volevo, però, lasciarla cadere del tutto: si tratta di una ricerca di tipo qualitativo, strutturata attraverso interviste a giovani del Triveneto (18-29 anni) di diverse sensibilità, da quelli che si riconoscono nella proposta della chiesa agli indifferenti a quelli che se ne dicono lontani. E’ un lavoro originale, perfetto per introdurre al metodo di lavoro teologico-pastorale: la teologia pastorale infatti è la disciplina che si muove “a partire dalla e finalizzata alla prassi della Chiesa” e i risultati delle ricerche svolte dalle scienze umane costituiscono uno dei suoi ambiti di interesse. Nella prefazione all’opera l’allora Vescovo di Vicenza, Mons. Nosiglia, scriveva: “Leggere i risultati di un’indagine sociologica e le molteplici riflessioni che ne scaturiscono, significa attuare quell’operazione che determina l’autenticità di ogni comunità cristiana: mettersi in ascolto”.

Mettersi in ascolto: una sfida sempre più urgente, resa difficile dalle precomprensioni che ci portiamo appresso, da alcune chiavi di lettura che diamo per scontate e che, se non portate a consapevolezza, ci impediscono di capire il reale.

Accade anche per il modo in cui noi adulti consideriamo le giovani generazioni. Che invece ci riservano – grazie a Dio – sempre delle sorprese.

Un elemento della ricerca, in particolare, è riemerso con prepotenza in questi giorni.

Nel testo si conferma che i giovani non possono evitare di confrontarsi con la diversità culturale che segna la nostra società, cosa che rende difficoltoso il loro cammino per individuare un’etica comune. Le regole sono in crisi. Nonostante questo però, tutti gli intervistati convergono, in modo che i ricercatori stessi definiscono inatteso, intorno ad un nucleo, una sorta di filo rosso: “il principio del rispetto dell’altro attraversa l’insieme delle considerazioni che i giovani sviluppano in campo morale, assorbe molti altri valori, costituisce un filo conduttore ed un centro di gravità, struttura il campo di rappresentazione della morale” (p. 169). Una morale del rispetto dell’altro, rispetto che diventa il valore preminente, ben al di sopra degli altri.

Il tema, che già aveva suscitato interessanti confronti durante il semestre, ha mostrato tutta la propria attualità dopo i fatti di Parigi: in occasione della sessione di esami i miei studenti lo hanno ripetutamente evocato. Molti di loro lavorano con i giovani, in pastorale o come insegnanti di religione: la cosa che li ha colpiti maggiormente è stata l’omogeneità delle reazioni, che confermano quanto avevamo scoperto attraverso l’indagine sociologica. La maggioranza di questi giovani, dialogando con i propri formatori, afferma in modi diversi e con toni più o meno politicamente corretti, che “il rispetto è un valore più grande della libertà” e della libertà è misura e limite. Una lezione sorprendente, che ci viene proprio da loro, cresciuti in un tempo e in una cultura che ha fatto dell’assoluta libertà la propria bandiera.

Non so se sia ovunque così. Ho scoperto però che per tanti è così, e questo dà da pensare.

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