La preghiera di Luca

"Prof. ogni materia cerca di rispondere a delle domande. Se non ho capito male, la sua cerca di rispondere a quella domanda che nessuno dice e che tutti si fanno: cosa ci stiamo a fare qui? Lei ha un bel coraggio a parlarne chiaramente qui in classe, ma fuori da qui, mi scusi se lo dico, sarebbe preso per un pazzo".
4 Dicembre 2010

Quando muore uno studente, anche se è un ex, è sempre dolore. A ventitré anni non si può morire. Non si può morire perché uno stupido Suv non si ferma in tempo dietro di te e ti accartoccia l’auto, dove tu alle 3 di notte stai disteso nel sedile posteriore, mentre la tua ragazza guida perché hai bevuto e non vuoi rischiare. Eppure Luca  a ventitre anni se n’è andato così. Una notte di Aprile. Quando me lo hanno detto stavo finendo di scrivere un verbale di un consiglio di classe. Ho alzato lo sguardo sul mio collega che mi stava parlando, la mia mente si è fermata e la tristezza mi ha invaso. No, Luca no!!

E pochi giorni fa, buttando lo sguardo distratto nel diario di una ragazza di quarta, aperto sul banco, quella tristezza è tornata a bussare. E le ho detto: “Dove hai trovato questa cosa che hai scritto lì?”. “E’ la preghiera di Luca… è bellissima prof.” “Si hai ragione, è bellissima!” E la mia mente è tornata indietro, al suo funerale, la Chiesa strapiena di giovani, l’amore e l’affetto che lo salutavano, e il dolore che la sua morte ci consegnava. Ma soprattutto quella preghiera, recitata alla fine della messa a nome suo, che dritta come un chiodo mi era arrivata dentro. E lì, piangendo, avevo capito chi era Luca. Avevo capito che nei due anni passati con lui avevo capito poco di lui.

Avevo capito che il suo scegliere di non fare religione non era un disimpegno, ma un atto di protezione. L’avevo incontrato in quarta, una classe nuova per me, in cui lui stava cercando di riaggiustare un iter scolastico non facile. Io entravo in classe e lui usciva, e con rispetto ed educazione mi salutava con un sorriso complice che non capivo. Gli occhi limpidi e svegli, riservati e diretti al tempo stesso, di chi sa di essere un passo avanti agli altri per maturazione, ma non lo mostra per rispetto. A volte pensavo che mi prendesse in giro, ma il mio cuore mi diceva che non gli apparteneva fare queste cose. 

Avevo capito  perché in quinta, l’anno successivo, spesso restava in classe a sentire la lezione. E il suo modo di reagire alle discussioni, ai video, alle spiegazioni, aveva tutta l’aria di lasciar trapelare un interesse vero e sincero. E quando parlando dell’essenza del Cristianesimo avevamo analizzato le radici greche della parola amore (eros, agape, filia) la sua espressione sveglia e matura aveva lasciato spazio quasi alla curiosità di un bimbo, che di nascosto approfitta di un regalo inaspettato che non gli era dovuto.

Avevo capito, al termine del suo funerale, perché quasi un anno prima mi aveva detto: “Prof. ogni materia cerca di rispondere a delle domande. Se non ho capito male, la sua cerca di rispondere a quella domanda che nessuno dice e che tutti si fanno: cosa ci stiamo a fare qui? Lei ha un bel coraggio a parlarne chiaramente qui in classe, ma fuori da qui, mi scusi se lo dico, sarebbe preso per un pazzo”. Avevo sorriso senza potergli rispondere perché atteso fulmineamente dal preside. Ma mentre scendevo le scale pensavo: Luca ha davvero del buono e al di là dell’apparenza che vuol dare, di un ragazzo figo, molto “in”, sveglio, a vent’anni ha già sulla pelle i graffi e morsi della vita.

E avevo capito che non fare religione per lui era un modo per proteggersi da questi segni. Che la sua anima e la sua fede di “bimbo” curioso e sincero non potevano essere mostrate ai quattro venti. Perché a vent’anni aveva già capito sulla sua pelle che la vita non è fatta solo di sbronze, di happy hours, di aperitivi, di nottate in discoteca, di “stronzate per riempire il tempo” e di rientri a casa all’alba con l’angoscia nascosta dentro. E che se in questo mondo provi a dire che tu ogni tanto ti chiedi sinceramente cosa ci stiamo a fare qui, ti prendono per matto, e sei fuori dal giro.

Perciò temo di fargli uno sgarbo, e se così fosse gli chiedo scusa, consegnando a chi vuole leggerla la sua preghiera. “Quando sono uscito dal grembo di mia madre ho pianto, ma poi ho imparato a sorridere. Quando uscirò dal grembo della madre terra verserò ancora una lacrima, ma sarà l’ultima, perché dopo sorriderò per sempre. Penso ogni giorno a quella lacrima, e mi studio di riempire il mio cuore di povertà  e di pace, di giustizia e di semplicità, per ritornare a casa senza abusare troppo della Tua bontà. Sei un Dio giusto e misericordioso perciò ti prego chiudi un occhio su di me, perché il discorso della montagna non l’ho vissuto proprio tutti i giorni. Chiudi un occhio su di me perché gli angeli e i santi perderebbero un loro compagno di giochi e il paradiso si rattristerebbe. E quando busserò alla tua porta corrimi incontro e abbracciami perché mi manca da una vita quel calore del tuo sorriso”

Grazie per quello che mi hai insegnato. Ciao Luca.

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