La Chiesa secondo loro

“La chiesa cattolica nasce e cresce nella venuta di Gesù sulla terra, basandosi sui suoi insegnamenti. O non più?” Piccola domanda che centra il problema di fondo: il recupero della centralità di Cristo.
10 Agosto 2013

Ed ecco la Chiesa. Ecco come i miei studenti vedono e vivono la Chiesa. Che dire?

Di sicuro tra le tematiche che si possono evidenziare nei loro elaborati, quella sulla Chiesa riceve i giudizi più duri e mostra una distanza con il loro vissuto discretamente alta. Nonostante questo però, anche qui, ho la sensazione che i dati che ho raccolto siano migliori rispetto alle attese. 

Cominciamo dal negativo. Ovviamente si conferma il lato problematico nel riconoscere la Chiesa come “messaggera” di Dio: “La Chiesa non ha mai rispecchiato la bontà e la parola di Cristo”. Ed anche: “Sono cattolica, credo in Dio, ma penso che Dio e la Chiesa sono due entità distinte”. E mi colpisce come il giudizio negativo vada direttamente al cuore della Chiesa e del suo esistere, supponendo una specie di “nestorianesimo” ecclesiale, in cui la dimensione umana della Chiesa non è in grado di veicolare quella divina. E non tanto per gli innumerevoli dati umani di “peccato”, che nascondono Cristo invece di rivelarlo, che pure vengono citati dai miei ragazzi. Quanto più per una specie di impossibilità strutturale di essere “parola” di Dio per l’uomo: “Se leggo il vangelo sento un Dio che mi piace; poi nella Chiesa non lo ritrovo mai, perché quello della Chiesa è un Dio molto meno umano”. Ciò che mancherebbe, perciò, alla Chiesa per essere testimone credibile di Dio, è un maggiore tasso di “incarnazione attraente”. In due direzioni soprattutto.

La prima. “La Chiesa si è sempre voluta mostrare come una struttura perfetta che non comprendeva al suo interno alcun tipo di difetto”. Che ovviamente è rilevato da loro come un problema. Perciò quello che si chiede è di essere più umana, nel senso di una maggiore “somiglianza” agli uomini e alle donne quotidiane, della “strada”. “Questa religione di 2013 anni fa ha bisogno di ritrovare qualcuno che parli in mezzo e con la gente, affiancandosi ai problemi di ogni giorno”. Confermato dalla dichiarazione, di molti di loro, in cui apprezzano maggiormente la testimonianza di suore e frati, più che di preti e vescovi, perché percepiti “più a contatto con le persone e i loro problemi e meno influenzati da questi. Sono più umili e meno ricchi”. Lasciando da parte quanto sia realistico questo giudizio, rilevo però che proprio coloro che sarebbero più “lontani”, perché votati totalmente a Dio, paradossalmente sono percepiti meno distanti, di coloro che appartengono alla “istituzione ecclesiale”. Ci sarebbe molto da riflettere su questo. 

La seconda. Ancora più puntuale e provocatoria. “Sono una credente, ma non mi fido della Chiesa, perché non ho mai visto qualcosa di positivo che possa dare una svolta alla vita di un adulto”. Che coglie uno stile di fede diffuso, in cui conta molto di più la stabilità e la continuità, rispetto al rinnovamento e al cambiamento. Si potrebbe azzardare che qui c’è la richiesta di una Chiesa capace di convertirsi e di convertire, mostrando come anche un adulto possa “cambiare mentalità” e rinnovare il senso della propria vita. Ancora una volta si mostra come la fede, agli occhi dei miei studenti, sia possibile se si esce dal “già dato”, da ciò che “rassicura” e “conserva”. Una specie di traduzione della richiesta di papa Francesco di “uscire verso le periferie”. Insomma hanno bisogno di vedere che chi crede sa e può cambiare marcia. Sa e può non farsi fagocitare dallo scontato, per mostrare una faccia diversa del vangelo, che sa di “conversione” e di novità di vita. 

E già qui potremmo dire che questa generazione ci da una lettura molto più profonda e centrata di quanto normalmente si dice.  Ma qui comincia il positivo. Questi ragazzi osano darci indicazioni su come recuperare queste difficoltà. “La chiesa cattolica nasce e cresce nella venuta di Gesù sulla terra, basandosi sui suoi insegnamenti. O non più?” Piccola domanda che centra il problema di fondo: il recupero della centralità di Cristo. E ancora, osando indicare anche una conseguenza di ciò: “La Chiesa dovrebbe essere solo un tramite, come anche i preti. Se è in crisi è perché non sta mettendo in pratica l’ascolto. Prima di tutto della Parola di Gesù, e poi anche degli uomini con cui dovrebbe parlare”. Per finire con una perentorio: “La Chiesa non è un’azienda che vende un prodotto”. Come non condividere? Se non avessi letto queste frasi sui temi dei miei studenti avrei potuto pensare che erano state scritte da “addetti ai lavori”. Ma chi l’ha mai detto che gli addetti ai lavori hanno l’esclusiva dello spirito.

E allora mi convinco sempre più che la crisi della Chiesa è una crisi di crescita. Una crisi in cui Dio non è assente e che, se la permette, è perché spera che gli uomini e le donne credenti si convertano di nuovo a Cristo. E che finalmente si convincano che i non credenti, o chi riflette sul vangelo anche non partendo da un’appartenenza ecclesiale definita e chiara, spesso sanno essere involontari messaggeri di Dio, molto più di quando in questo tempo siamo portati a credere.

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