Il test sulla resurrezione

Credo sia meglio sostare in ascolto di questi ragazzi. Ci dicono molto su come oggi loro sentono la vita e il suo epilogo.
17 Novembre 2010

C’è una parola che, insieme ad altre, qualifica la fede cristiana rispetto a religioni diverse. E’ una parola strana, la cui formulazione in italiano non è del tutto definita, può essere detta e scritta in due modi. 

Da qualche anno mi succede che nelle classi prime, in questo periodo, saggio il terreno, la loro preparazione culturale, sul piano religioso. E da qualche anno mi succede di fare sempre più fatica a ritrovare questa parola nelle loro frasi. Anche quest’anno non mi sono fatto mancare questa conferma!

“Scommettiamo ragazzi che oggi parleremo di un argomento assolutamente fuori dai vostri schemi?” Tra gioco e provocazione, un po’ ironico e un po’ serio mi sono avventurato, qualche giorno fa, a parlare della morte con i miei studenti della classe prima, e soprattutto di ciò che loro pensano ci sia dopo la morte: l’aldilà”

“Non è vero prof. Io a volte ci penso, non è una roba fuori dal mio schema!”. “No prof., per favore, possiamo parlare di altro, mi mette tristezza”. “Bèh lo sa, prof., che mi sono immaginato come sarebbe dopo la morte…”. Le reazioni sono molto varie, ma basta dare a loro un po’ di tempo e la sensazione di non essere giudicati su quello che possono dire, allora le risposte fioriscono e la discussione decolla. Poi ci sarà modo di mettere i puntini sulle “i”, ma per ora è importante che ciò che pensano venga fuori così, senza filtri e senza schemi.

“Mi piacerebbe rivivere in un altro corpo, avere una seconda vita e poter essere di nuovo bambino”.  “Io penso che non ci sia proprio niente dopo la morte. Click, si spegne la luce è tutto è finito”. “Per me diventiamo spiriti e restiamo qui tra i vivi, per dare fastidio a chi ci ha fatto del male, o per proteggere quelli che ci hanno voluto bene”. “No no, io penso che chi ha fatto del male deve andare all’inferno, se no non è giusto”.  “Sì, però per me non ci restano sempre all’inferno, quando hanno pagato, anche loro andranno in paradiso”. “Ma dai stai ancora a pensare al paradiso… Pensa che noia stare li per sempre a pregare e fare nulla… no, no, non mi piace”. Ma ci sono anche soluzioni molto più fantasiose: “Per me ci clonano e ritorniamo sulla terra per rifare la stessa vita, ma stavolta senza fare più errori”. “Io penso che dopo la morte siamo sparati su un altro pianeta e li da vecchi che eravamo viviamo una vita al contrario, ritornando piano piano bambini e quando li si muore si torna a vivere qui ricominciando come bambini.. e così per sempre”.

Comunque sia, tra tutte queste idee e fantasie la parola fatidica non compare ancora in classe. Spesso arriva dopo quasi tutta l’ora. Ma anche quando qualcuno la nomina si scopre che il suo significato è inteso in modo distorto o capovolto. A volta non arriva proprio e devo metterla li io. “Cosa è successo a Gesù Cristo dopo la morte?” l’altro giorno l’ho buttata li come una domanda casuale. “Ha si prof! E’ scappato dalla tomba”, ha risposto il più istintivo della classe. “Ma dai non è scappato -ribatte una sua compagna- si è incarnato… no prof… come si dice… si è …reincarnato ecco…”. “Veramente mi pare che nella Bibbia si dica un altra cosa” faccio io. E abbiamo preso Mt 28, 1-10 e l’abbiamo letto, senza alcun commento. Ci abbiamo messo quasi tre quarti d’ora a farla venir fuori, ma finalmente la parola è comparsa: resurrezione (o risurrezione? Ma il vocabolario dice che si può dire in entrambi i modi…)

Siamo abituati a pensare che l’Italia è un paese a cultura cattolica, e nella legge che stabilisce la presenza dell’insegnamento della religione a scuola si specifica che esso è “confessionale” perché i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano. Ora, non mi pare che la resurrezione sia fuori da questi principi, ma la sua assenza tra le parole dei miei studenti sull’aldilà, brilla come una contraddizione interessante. E da questa contraddizione mi chiedo come mai sia più facile e più diffuso tra di loro credere alla reincarnazione? E al secondo posto della classifica si trova l’idea che l’aldilà non ci sia proprio. 

Non entro nella questione delle cause e nemmeno in quella dei rimedi possibili di questa situazione. Credo che prima di avventurarci frettolosamente su queste due strade sia meglio sostare in ascolto di questi ragazzi. Ci dicono molto su come oggi loro sentono la vita e il suo epilogo e su come l’adulto di domani potrebbe sentire la sua. E le idee che oggi primeggiano in loro, su questo tema, ci dicono come sentono sé stessi come persone: quando va bene il corpo è un accessorio, uno strumento da usare, ma mai parte di sé, tanto che si può cambiarlo in un altra vita. Oppure l’anima ha lo stesso esito del corpo, la decomposizione, e non se distingue sostanzialmente più, fino a pensare che la persona non è più qualcosa di eterno e di non negoziabile, ma è a tempo e di valore contrattabile.

Credo che il problema sia aiutarli a recuperare il senso di sé, della loro persona, se no anche la resurrezione non è più percepibile come evento di salvezza e resta solo un concetto vuoto.

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