Pochi giorni fa sull’aereo che lo portava in Inghilterra, il Papa ha parlato coi giornalisti. Uno di loro, ovviamente, ha messo il dito nella piaga… (aggiornando una delle cinque di Rosmini!) I preti pedofili. Il Papa ha risposto e, lo confesso, sono quasi sobbalzato sulla sedia. Poi sono andato su internet a ritrovare il video e mi sono accorto che avevo visto bene.
Mi è venuto un flash, quasi d’improvviso. Era Aprile scorso, durante la ricreazione stavo leggendo l’ennesima circolare del preside che richiamava i ragazzi alla puntualità. Mi sento battere sulla spalla. Alice, classe 4, sveglia, intelligente, minuta, con dei grandi ricci biondi, e due occhi pieni di voglia di crescere bene. “Prof, le devo dire una cosa su quello che abbiamo discusso prima in classe”. Eravamo partiti da un video di youtube che parlava dei preti pedofili e poi ci siamo allargati al voto di castità e più in generale al rapporto della Chiesa con la sessualità. “Prima non l’ho detto perché lo sa come sono alcuni in classe…, poi sanno che sono cattolica, già bastano loro a dar contro… Una delle cose che Bebo ha detto credo sia sensata (é un suo compagno di classe, anticlericale dichiarato, che fa religione per opposizione, ma forse non solo per questo…). I preti si nascondono su questa cosa della castità. Annunciano regole e poi però loro spesso non riescono a starci dentro. Mica che sia facile nemmeno per me starci dentro, ma quando parlo con loro ho la sensazione che dicano cose imparate e che non sono quello che loro poi fanno. Ma perché? Davvero non capisco! All’inizio ero meravigliata di questa sensazione, poi mi ci sono abituata, ma non mi piace. Vorrei un prete con cui poter dire quello che vivo io ed essere ascoltata. Ma soprattutto vorrei che mi raccontasse come fa lui, che potessi imparare da lui il modo di stare dentro a ciò che la Chiesa dice. Cosa gli succede quando sente affetto e attrazione per una donna? Cosa si dice in testa, e cosa fa per restare fedele? Una volta ho provato a chiederlo al mio prete e lui mi ha risposto che ero un po’ impertinente e che non era necessario raccontarsi queste cose per vivere la Parola di Dio”.
Ovviamente la circolare non l’ho terminata. Mi sono dedicato ad ascoltare Alice con l’attenzione che potevo, visto il caos che c’era e il poco tempo, promettendole che sarei ritornato con lei sulla questione, cosa che ho fatto qualche giorno più tardi, dicendole che non tutti preti sono così e che credo invece che imparare a comunicarsi ciò che si vive sia importante per confrontarsi e crescere, anche senza fare “streep tease” spirituali, e così le ho raccontando un po’ di me e come la vivo io. Forse una piccola traccia è rimasta.
Quello che mi ha colpito del Papa non è stato inizialmente il contenuto: “E’ per me molto difficile comprendere come sia possibile che un consacrato a Dio possa arrivare a compiere simili azioni nefande. Sono davvero rattristato e colpito da ciò che è successo”. Mi ha colpito il modo personale e diretto con cui ha lasciato trapelare una piccola luce sulla sua vita interiore e sulle sue emozioni legate alla vita di fede. Parlare di sé, anche se solo per un accenno e nel ruolo istituzionale, mi ha rimandato una sensazione di Benedetto XVI un po’ diversa da quella che normalmente passa nei media. E ho pensato, come Alice, che mi sarebbe piaciuto sapere com’è la sua vita spirituale, e per quali strade sente la presenza di Dio e resta fedele a Lui con un amore casto e indiviso. La Chiesa deve annunciare la Parola di Dio, ma è una parola che si è fatta Carne. Annunciarla non può essere quindi questione di “parole”, se no la Parola si perde, ma di “persone” in carne ed ossa, che si incontrano e si raccontano.
Come mai ho l’impressione che succeda così poco questo? Non credo sia solo una questione di poca santità personale, che pure è la questione di fondo. Credo ci sia anche un problema legato allo stile di santità che viene perseguito, ancora troppo debitore di una frattura tra anima e corpo, tra interiorità e azione, tra personale e comunitario. Il bisogno di Alice è quello di molti credo, poter avere modelli di santità “interi”, dove le parti di sé siano ricomposte a servizio della carità, a partire dalla dimensione più reale di tutte, in cui le altre sono ricomprese: “questo è il mio corpo dato per voi….”. Non dice questo è il mio spirito, la mia anima, la mia forza, il mio cuore… ma il mio corpo…