Di nuovo al Sert. Ma questa volta non sul tema delle sostanze, ma su quello della prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse. Un tema caldo, per noi adulti. “Prof? Ma dobbiamo andare proprio?” chiede Giorgia alla mia collega di scienze, che mi ha “incastrato” in questa mezza mattinata. “Certo, ma ti pare, sono cose importanti da sapere. Se non conosci i rischi e i modi per evitarli, come fai a viverti una sessualità sicura?” Giorgia non risponde. E si avvia poco entusiasta, come le altre 19, più i 6 maschietti della classe.
La stanza in cui ci fanno accomodare è sbilenca, e non si capisce se ricavata da uno spazio più grande riadattato, o se frutto di una pensata notturna dell’architetto di turno. Le prime tre parole chiave sono: prevenzione, scelta e consapevolezza. Ma è soprattutto sull’ultima che una delle due dottoresse insiste. “Pochi giorni fa, un lunedì mattina, è arrivata qui da noi una ragazza di 13 anni, disperata perché il sabato sera, passato con degli amici in un pub, temeva di poter aver fatto cose che la mettevano a rischio, visto che era ubriaca fradicia e non si ricordava nulla”. La classe non ha reazioni particolari. Alcune continuano a giocare con l’IPhone, altre sorridono lasciando immaginare che conoscono pure loro situazioni del genere, altre semplicemente parlottano tra loro. “Capite ragazze, a che livello di mancanza di consapevolezza si può arrivare? Per questo dovete sapere quali sono i rischi e quali i modi per poterli contenere ed evitare. In primo luogo questo”. E prende in mano un condom dal cestino sul tavolo. Poi l’altra dottoressa passa ad illustrare come si usa. Ma i commentini tra loro sono sempre più evidenti e si potrebbero leggere molto bene nel loro non verbale: lo so già!; a dire il vero non si fa proprio così; Eh seh, quando sei lì, mica hai tutta sta lucidità per usarlo così…
Ovviamente poi le dottoresse hanno parlato anche d’altro. Pure un po’ di affetto e relazione. Ma la reazione della classe è rimasta fondamentalmente la stessa. Abbastanza asettica e poco coinvolta. Tanto che all’uscita la dottoressa ci dice: “Purtroppo, da qualche tempo, l’interesse per queste cose sembra davvero si sia abbassato molto. Anche su temi come l’Aids noi ci proviamo, facciamo del terrorismo, perché non se ne parla più. Ma poi ne ritornato qui meno del 2 %, tra tutti gli adolescenti che contattiamo”.
E pur avendo io una percezione molto diversa del senso della sessualità, non posso essere contento se un Sert non ha più “presa” sufficiente, perché ho l’impressione che quelli che non arrivano al Sert sono lasciati a sé stessi e non circolano nemmeno nei nostri consultori cattolici. (Che pure ci provano, con fatica e abnegazione). Come mai? Un’idea me la sono fatta, e in parte l’avevo già espressa qui in un precedente post (link la metafora del profilattico). Non solo dietro al modo di vivere la sessualità di questi adolescenti c’è un mondo adulto che li confina solo nel presente e li spinge a “bruciare” il momento, perché unica possibilità di vita e di senso. A questo si somma anche il tentativo laico, ma purtroppo spesso anche cattolico, di far leva solo sulla loro consapevolezza, sulla testa, come arma fondamentale per non vivere la sessualità in modo distruttivo.
Ma com’è possibile non comprenderlo! Il tempo e il luogo in cui il problema del rischio nasce (il sabato sera o simili) è definito dagli adolescenti stessi come un tempo e un luogo dove la consapevolezza non ci deve essere. Dove la testa va staccata, per poter godere a fondo e “bruciare” tutte le possibilità di quel presente. Come si può sperare di aiutarli a “ridurre il danno” facendo appello a quella stessa parte di sé che loro cercano in ogni modo di non usare. Come si può pensare che attraverso il “terrorismo educativo”, che purtroppo abita anche in casa cattolica, si mettano in guardia rispetto a possibili rischi futuri, quando a loro interessa solo ed esclusivamente quel presente e per quel presente sono disposti a sacrificare tutto.
Quello che manca, sia sul fronte laico che cattolico (anche se questo ha più possibilità di recuperarlo) è la testimonianza di una sessualità intera, che oltre a “bruciare” il gusto del presente apra, proprio dentro a questa esperienza istantanea, il senso di una trascendenza orizzontale. Qualcuno cioè, che raccontando di sé, è non tanto insegnando, mostri loro la bellezza di un godimento reale e intero che contiene però anche il senso della consegna per amore, che trasformi il godimento “bruciato” in godimento “offerto”: “questo è il mio corpo offerto per te”.
In fondo l’approccio laico non contempla questa possibilità, proprio perché è centrato culturalmente su una libertà che si auto fonda solo sulla propria volontà. Perciò il piacere va consumato per sé, non regalato. Quindi un Sert che perde consensi potrebbe anche dirci che il bisogno vissuto da questi adolescenti non è più quello di proteggersi, ma di potersi spendere, di offrirsi, anche nel piacere. In fondo, le esperienze di macelleria sessuale verso cui si muovono, testimoniano questo bisogno in modo impazzito, senza più alcun freno. L’approccio cattolico potrebbe invece ri-aprire questa unità tra godimento e senso del dono, solo se fosse meno preoccupato di avere da subito un amore ordinato. Certo tutti siamo chiamati a vivere un amore ordinato, ma tra un amore disordinato e un ordine disamorato Gesù preferisce il primo al secondo, come punto di partenza di un cammino verso di Lui.