Un nuovo piccolo catechismo sul peccato

Un nuovo piccolo catechismo sul peccato
25 Giugno 2018

“Per me è un segno dei tempi il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante (…) Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio”. Il titolare di queste parole è Il papa emerito Benedetto XVI, nel libro – intervista, pubblicato nel 2016, dal titolo: “Per mezzo della fede”.

Era da un po’ che riflettevo proprio su questa centralità, sempre più evidente, della misericordia di Dio, ma la lettura del libro di Ratzinger mi ha dato la spinta necessaria per cercare di rispondere ad una domanda che mi frullava nel cuore: dal punto di vista della misericordia di Dio, cosa è il peccato? Come possiamo tentare di riesprimere tutta la grande e perenne tradizione della Chiesa sul male e dintorni, partendo dalla prospettiva della misericordia di Dio? La domanda è legittima, perché anche a chi non è avvezzo a questioni di teologia, balza immediatamente agli occhi come una serie di “interpretazioni” teologiche del tema del male e dei concetti connessi, che tradizionalmente albergano nella Chiesa, non partono certo dalla misericordia di Dio.

Da secoli esistono tracce teologiche e ancor più catechistiche e omiletiche, che leggono il male e i suoi derivati, a partire da una prospettiva “giuridica” del rapporto con Dio, che spesso nasconde uno strisciante “manicheismo” di fondo e produce una spiritualità del “marketing della salvezza”. Qualche esempio: “Dio è offeso dal nostro peccato”, come se Lui reagisse a noi come un essere bisognoso di riconoscimento, che quando non ce l’ha si offende; “noi possiamo acquistare meriti”, come se la salvezza fosse una gara a punti, in cui vince chi ne guadagna di più. Ancora si parla di “lucrare una indulgenza”, come se si potesse ottenere un credito, un bonus, da spendere poi adesso, o nel giudizio finale, per sé o per altre persone; “Gesù paga il debito di Adamo”, come se Dio, o il Demonio, debbano essere ripagati per il peccato commesso dalla prima coppia; “applicare i meriti della passione di Gesù” come se Lui avesse “guadagnato” un bonus infinito, in barba all’organizzatore del concorso a punti.

E ancora: “Dio giudicherà per dare a ciascuno il premio e la pena che ognuno avrà meritato”, come se per tutta la vita Dio si fosse atteggiato a misericordioso, poi all’improvviso cambi faccia e divenga arbitro di una giustizia finale retributiva. Oppure: “L’inferno è l’esclusione definitiva dalla presenza di Dio”, come se potesse esistere un luogo in cui la presenza di Dio non c’è! E infine: “pregare ci ottiene da Dio la misericordia”, come se l’uomo che non prega non fosse amato da Dio pure lui!

C’è poi tutta una spiritualità, che oggi sembra in ripresa, che nella vita spicciola e ordinaria dei fedeli, spinge fortemente a pensare e sentire che è la “sofferenza in quanto tale” a salvarci dal peccato, non l’amore. Chiediamo di essere “conformati ai patimenti di Cristo per partecipare alla sua Gloria”, quando in realtà dovremmo chiedere di essere conformati al suo amore! Le penitenze sono spessissimo viste come strumento per “pagare” il debito creato col peccato, quando invece dovrebbero essere il modo per imparare ad amare di più, liberando così maggiormente le nostre buone inclinazioni. Nella confessione continuiamo spesso a dire che è il dolore dei peccati commessi, la cosiddetta “contrizione del cuore”, l’elemento essenziale per poter ricevere l’assoluzione degli stessi, spingendo potentemente il peccatore a guardare solo a sé stesso. Invece dovrebbe essere la “conversione del cuore” il riconoscimento cioè del bene che avrei potuto fare, che sarei stato in grado di fare, guardando a Dio, ad aprire la strada verso la sua misericordia.

Sono solo alcuni esempi, per me evidenti, di come ancora oggi, molto della concettualizzazione del male e dei suoi derivati non abbiano certo la misericordia di Dio come centro ispiratore e categoria interpretativa di fondo su cui ricostruire una teologia, una catechesi, una omiletica e una spiritualità diverse.

Così ho deciso di tentare un azzardo, presuntuoso certamente, ma spero anche provocatorio nel senso etimologico, cioè di suscitare voci, accendere discussione. Vorrei cioè provare, in una serie, di post di cui questo è l’introduzione, a offrire un “nuovo piccolo catechismo sul peccato”. Parole come peccato, male, redenzione, castigo, merito, giudizio, senso di peccato, ecc… possono essere rilette in chiave di misericordia di Dio? o possono solo essere abbandonate?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)