Mio padre era un uomo un po’ ombroso, ma mi voleva bene, a suo modo. Quando, dopo quattro anni di seminario, decisi che non avrei fatto il prete, lui mi disse: ” Eh, ma con te non ci si prende mai!. Ci ho messo quattro anni a farmi piacere questa tua scelta, che non condivido, e adesso tu vieni a dirmi che non ne vuoi più sapere? Ma come si fa? Voi di Chiesa siete sempre così, non ci si può mica fidare. E comunque, si può essere brave persone e avere fede anche senza essere così legati alla sottana del prete”. Ovviamente la cosa non mi fece piacere, ma sono diventato adulto e la mia fede è rimasta.
Mi è tornato in mente quando, due giorni fa, un genitore di un ragazzo di una prima, al colloquio generale mi ha detto: “Ma lei insegna la religione o la fede? No perché, per me, le due cose sono molto diverse. Avere fede è una cosa personale su cui non credo che un docente possa dire nulla, mentre la religione è un fatto culturale e su questa posso essere d’accordo che si possa insegnare, come tanti altri fatti culturali”. Il bello è che suo figlio, nelle prime lezioni dell’anno, mentre stavo cercando di mettere i puntini sulle “i” dei confini tra religione a scuola e catechismo, mi diceva: “Ma prof. io credo che la fede sia una questione personale e basta, quindi mi scoccia “un treno” quando il prete me la mena con sta storia di andare a messa. Io, se voglio parlare con Dio lo faccio anche da solo, in camera mia!”. Quando si dice che i padri sono assenti, che oggi non si fanno sentire!
Poi capita che una mia collega, in una pausa di un consiglio di classe, mentre sono alla macchinetta del caffè mi fa: “Ma non sarebbe una bella cosa che per Natale si tornasse a dare un segno del valore di questa festa, magari facendo una messa a scuola per chi vuole? Comunque in modo che tutti siano richiamati al valore di quello che festeggiamo! Sai davvero, gli studenti non lo sanno proprio più che Natale ha a che fare con la nascita di Gesù”. La stessa collega che, non più di due anni fa, aveva buttato lì, durante una discussione in corridoio l’idea di mettere nella scuola una macchinetta distributrice di profilattici, perché “queste generazioni sono in preda ad una frenesia che li mette in serio pericolo!”
Il filo rosso di questi eventi continua con l’interrogazione, di pochi giorni fa, di una ragazzina di un’altra prima. “Samantha, parlami del significato delle tre parole da cui siamo partiti a settembre: religiosità, religione e fede”. “Bhè, prof. Era roba molto indietro, mi ricordo poco”. (Abbiamo fatto appena 8 ore di lezione, in quella classe, dall’inizio dell’anno!!). “Provaci, dai, dimmi quello che ti ricordi”. “Uhmmm… la fede… la fede…. beh è credere in qualcosa. La religione invece è andare a messa, non fare certe cose, stare nelle regole che ti dice il prete”. Ora, al di là della tristezza che mi prende come docente, (ma forse è anche colpa mia!) la risposta di Samantha, messa sullo sfondo delle altre circostanze ricordate, mi suscita un po’ di riflessioni.
La prima. Tra fede e religione non c’è coincidenza semantica. Ma se le separiamo nettamente la fede assume una nebulosità in cui la persona, titolare unica dell’atto di fede, può davvero leggervi dentro tutto e il suo contrario. Diventa fede allora anche il vissuto della spiritualità New Age, o la tendenza magica e misterica delle rivelazioni personali, o la semplice voce della coscienza morale che, non completamente soffocata, a volte richiama a chiedersi il senso del proprio agire. Ma come mai, proprio nell’alveo di quella che era la tradizione cattolica, questa interpretazione della fede tende ad essere così presente?
La seconda. Sarebbe facile rispondere a questa domanda dicendo che bisogna ritornare alla coincidenza esistenziale, anche se non teorica, tra la fede e la religione, in ambito cristiano. Ma sarebbe fuorviante, perché la religione cristiana sta nell’ordine dei mezzi, mentre la fede sta nell’ordine dei fini. E farli coincidere spinge il cristianesimo, di fatto, verso una fede che si risolve completamente in riti, tradizioni, regole umane, che rischiano di svuotarne il senso autentico: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,41-42). Possibile allora che per coltivare il senso di una relazione autentica con Dio non possiamo più far conto sui riti, le tradizioni e le regole umane, che la storia della religione cristiana ci consegna?
La terza. “Una sola è la cosa di cui c’è bisogno”. La Fede? Ma allora in radice aveva ragione mio padre, e il padre del ragazzo della prima classe. La religione? E allora ha ragione la mia collega che vuole la messa a scuola per Natale. O possiamo pensare che la religione è un contenitore necessario per la nostra fede, ma come tale rischia sempre di essere troppo stretto per la “novità” sempre rinnovata di Gesù? E quindi è il “vaso” che deve adattarsi alla novità della “pianta” e non viceversa. Vino nuovo in otri nuovi (Lc 5,38)?