Ci sono letture che fanno bene alla vita, perché in modo semplice — della semplicità che è virtù — rispolverano le tracce del sentiero e danno forza nel cammino, magari solo per un istante: ma quell’istante è prezioso, dal momento che il nostro tempo è intessuto di istanti, ed essi si pesano come quei granellini di sabbia che fanno oscillare il piatto di una bilancia verso la luce o verso il buio.
Così, leggendo le pagine di Sconfinamenti. Passeggiando tra le parole, l’ultimo agevole libro di Angelo Casati (Magnano, Qiqajon, 2024, 113 pagine, € 12, prefazione di Sabino Chialà), ho avvertito che le parole proposte da don Angelo erano preziosi piccoli doni, capaci di nutrire, di sostenere, di dare un poco di luce alla giornata. E questo, penso, accade per tre motivi: in primo luogo si tratta di parole vere, ossia di quella verità che sgorga dall’umano; non si tratta di verità di dottrina, di verità di ragionamento, ma di verità di vita. Angelo Casati è un uomo che ha molto vissuto, che ha molto osservato , che ha molto ascoltato e, soprattutto, si è molto interrogato: «Occorre camminare per le strade delle nostre città, custodendo l’arte di interrogare i cieli, di interrogare la terra, di interrogare la vita». Tre direttrici, dunque, egli indica come sviluppo di domanda: l’alto, il basso, il profondo interiore. Tre movimenti per cogliere verità buone, che sollevino e diano speranza, che sappiano incoraggiare, che sappiano renderci tutti compagni. C’è una definizione che l’autore dà di sé stesso, in più punti, ed è sinteticamente luminosa: «[sono] compagno di viaggio di uomini e donne della carovana». Mi piace sottolineare quel termine oggi un po’ insolito, carovana, che indica un gruppo di persone in viaggio, un gruppo vario, un po’ disordinato, dove la differenza è un dato di fatto che va accolto e non respinto. È una bella definizione di un modo fecondo di stare nel nostro tempo: siamo tutti in una grande carovana, dove le diversità sono molteplici, ma non sono elemento di diminuzione. Al contrario, la carovana dei diversi è ricchezza, se si guarda, se si pone orecchio, se ci si sente in mezzo agli altri. Ma, sempre, non deve mancare l’ospitalità per la domanda, ci deve essere la sensibilità per offrire legittimità ad ogni domanda: «La strada della città, proprio perché terra di pluralismo, è luogo delle domande: quelle serie, quelle della vita, così diverse dalle domande coltivare in laboratorio». Ancora una volta, quindi, la vita: ciò che è vissuto, non ciò che è preimpostato.
Vi è un secondo motivo per cui le parole di don Angelo sono freschezza: esse sono parole libere di un uomo libero. Questo dilata il cuore, allarga lo spirito, dona letizia. Casati è un uomo libero che non nasconde le difficoltà, anche spirituali, anche di fede, che possono emergere nello svolgersi dei giorni; non si nasconde dietro la grammatica ecclesiale dell’esortazione un po’ ipocrita. Proprio perché vere, pertanto, le sue parole hanno il respiro della libertà: esse inseguono la stessa libertà dello Spirito, oltre i tracciati, gli steccati, i confini. Si capisce, allora, perché il titolo Sconfinamenti: «Vorrei ora sostare sull’altra dimensione dello Spirito, che affiora luminosa nel giorno della pentecoste, quella dello sconfinare, fuori di noi stessi, verso le periferie. È lo Spirito che sospinge in spazi aperti, lo Spirito che chiama fuori dai particolarismi, dalle sette, è lo Spirito che apre al rispetto delle diversità, le diversità delle lingue». Stare sulle soglie, bordeggiare i confini per poi andare oltre, sapendo che «nulla è pagano», poiché Dio ovunque può porre la sua tenda, come ricorda il prologo di Giovanni: «Uscire con la convinzione che niente è pagano, tutto abitato dallo Spirito. Lontana da noi la supponenza di chi pensa che dello Spirito i possessori siamo noi e siamo noi a portarlo».
Vi è, infine, un terzo motivo che rendono le parole di Angelo Casati capaci di forza e di luce: esse sono parole appassionate di un uomo appassionato. Non c’è pagina in cui non vibri un forte amore per la vita e, insieme, per il Vangelo — in relazione strettissima, inscindibile. E questo non accade perché egli è stato parroco, perché egli è prete: no, sarebbe scontato. Questo accade perchè don Angelo ha trovato nella Parola vie di umanità e di bellezza, che danno significato al vivere, e questo gli scalda il cuore: «Non ne possiamo più dei discorsi vuoti, senza cuore, dei gesti vuoti, senza cuore, dei riti vuoti, senza cuore, delle strutture vuote, senza cuore, della giornate vuote, senza cuore. Occorre ritrovare, ma è un dono, la passione, occorre ritrovare il cuore, occorre ritrovare un’anima. Dare lo Spirito, dare un’anima. A noi stessi e alle cose». È da questa passione, che egli cuce con verità e libertà, che nasce la poesia; da ciò egli ricava squarci, intuizioni, scintille che si compongono in poesia, sia essa nella forma del verso (così accade nella sezione finale del libro, Preghiere nella sartoria di Armani, o in altri passi del volumetto, in cui una strofa condensa un’immagine, un argomento, arricchendo un discorso), sia essa nella cadenza della prosa. Non è, infatti, poesia l’immagine della nebbia come condizione giusta dell’esistere? «Non puoi andare con passo arrogante o affrettato nella nebbia, come se non esistesse un oltre, che improvvisamente ti può sfiorare, che tu puoi sfiorare. Va’ nella nebbia sospettando l’oltre che la abita». E, ancora, non è poesia questa definizione di fede, tra le più suggestive e originali che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi: «[fede è] un moto dell’anima, che vorrei raffigurare […] come uno sporgersi fuori di sé stessi, sporgersi. […] Ecco la fede, sporgersi, fiducia: metto la mia fiducia in te».
Si comprende, dunque, la struttura del libro, il quale è aperto da un testo, Fede e poesia, che è testimonianza più che lezione, poiché è nella penna (e nella vita) di Angelo Casati che le due dimensioni abitano, sorelle. «Per raccontare la bellezza, anche quella di Dio, occorre la poesia»; questo egli scrive, aggiungendo: «Puoi stringere Dio nella prosa?». Consonanza forte con Papa Francesco, che ripete da tempo, ma ultimamente con più forza, quanto la poesia sia necessaria al credere e al vivere: «L’artista è l’uomo che con i suoi occhi guarda e insieme sogna, vede più in profondità, profetizza, annuncia un modo diverso di vedere e capire le cose che sono sotto i nostri occhi. Infatti, la poesia non parla della realtà a partire da princìpi astratti, ma mettendosi in ascolto della realtà stessa» (così Francesco nella prefazione al recente volume Versi a Dio. Antologia della poesia religiosa, edito da Crocetti per la cura di Davide Brullo, Nicola Crocetti e Antonio Spadaro). È una bella descrizione che si calza a perfezione ad Angelo Casati, questa che il Papa tratteggia.
Dunque, dalla passione nasce la poesia, emerge l’amore per la parola che coglie il nuovo, invitando allo stupore: altra strada da percorrere per i cristiani, come Casati annota, con un velo di malinconia: «Dovremmo avere gli occhi come sedotti dalla bellezza. E invece c’è troppa prosa. C’è un linguaggio spento, un dire prosaico. E questa è una deriva triste del cristianesimo».
Dopo aver posto nella giusta prospettiva lo sguardo, ecco che si snodano poi quattro capitoli di commento a episodi evangelici, condotti suonando quelle note prima messe in luce.
L’augurio è che, nel Natale imminente, qualche altro lettore, qualche altra lettrice possano avere l’occasione per donarsi e donare un istante di riflessione, di profondità, di coraggio, seguendo la pagine di Angelo Casati e il suo canto per il Dio «che tesse fili e dà colori».
“Non c’è cosa che scaldi più del nostro camino” un detto che è verità, così può diventare l’ascolto della Parola, essa dovrebbe raggiungere lo spirito di chi la legge o la ascolta, a rincuorare l’animo quando affranto, o riempire il cuore di gioia quando un fatto imprevisto e desiderato diventa realtà, come grazia, dono ricevuto da Dio. Parola che come carezza raggiunge l’intimo di umano sentire, caldo segno di speranza, va porta con gentilezza come gesto amorevole, non ha bisogno di essere declamata perché la Parola e come a Natale, la gente è in attesa, si attende pieni di speranza, a conforto di delusioni a incoraggiare a pensare il domani una promessa. La Parola per scaldare il cuore dell’uomo ha da possedere quel calore che la fa fuoco acceso luce che rischiara la mente, infonde fiducia un dono ricevuto e che va condiviso con altri, agisce nell’umiltà.
Grazie Sergio! E’ bello ritrovare nella forma poetica delle parole di don Angelo tanti aspetti che nel cammino sinodale si sta tentando di far diventare prosa (anche “giuridica”), senza perderne la base esistenziale poetica. Siamo di fronte ad una testimonianza di vita che conferma l’importanza di essere (e parlare di) “compagno di viaggio”, invece che di un equivoco accompagnamento; di vivere (e pensare) la missione come sconfinamento dello Spirito, senza “la supponenza di chi pensa che dello Spirito i possessori siamo noi e siamo noi a portarlo”; di attraversare e farsi attraversare dall'”oltre” e dall’altro, più che dal noi (https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/quale-missione-per-la-chiesa-italiana/). E non è un caso che in altri scritti di Papa Francesco la figura dell’artista venga tratteggiata con i caratteri di quello che altrove ho chiamato l’uomo e la donna sinodale…