Mi capita spesso di rimanere affascinato e incantato ogniqualvolta mi ritrovo a guardare i volatili sorvolare i cieli delle montagne che circondano la zona in cui vivo. I monti richiamano al destino dell’uomo fatto per un’ulteriorità, un oltre che supera quel limite entro cui ci si ritrova a vivere, mentre il volo degli uccelli rimanda alla leggerezza con cui bisognerebbe affrontare e vivere l’esistenza. Sì, leggerezza e non superficialità. Il superficiale è l’impermeabile della vita che annebbia la vista, offusca la mente e impedisce di cogliere l’essenzialità; di contro, la leggerezza è l’atteggiamento di chi riesce a guardare oltre puntando verso quell’ulteriorità per cui siamo stati creati.
“Tu ci hai fatti per Te” diceva Agostino per indicare il desiderio di assoluto che caratterizza ogni uomo. In Lc 21,34-36, parlando del giorno del giudizio, Gesù mette in guardia dal rischio di un cuore appesantito da dissipazioni (lett. orge), ubriachezze e ansie della vita; queste tre cose esprimono tutto ciò che stordisce l’uomo e lo distoglie dal desiderio di pienezza. L’orgia è lo stordimento del corpo incapace di provare piacere, l’ubriachezza è lo stordimento della mente in un’attività priva di pensiero, l’ansia è lo stordimento del cuore incapace di desiderare; invece, la leggerezza ridona il gusto per la vita, riabilita il pensiero alla lettura profonda delle cose e riporta il cuore a desiderare l’oltre infinito di Dio. Mi piace definire la leggerezza come la virtù della libertà. La vera libertà si dà nell’uomo che si riscopre per la vita e, pertanto, può ritornare ad essere “respons-abile” cioè abile a dare risposte: risposte autentiche e libere dall’ottuso pregiudizio nei confronti dell’altro; risposte vere, di quella verità che è amore donato; risposte belle, di quella bellezza che è parola accolta. Libertà e leggerezza dalle paure: paura della vita, paura di Dio, paura dell’altro, paura del diverso, paura del pensiero e del pensiero autentico ucciso dalla chiusura delle coscienze e dal fraintendimento che libero è quel pensiero che urla parole (penso a facebook o, in genere ad ogni tipo di social dove a farla da padrona è la logica del mercato: vince chi “urla” di più). La vera libertà è espressa da parole sussurrate, di quel sussurro che penetra il cuore; quel sussurro a volte scomodo perché portatore di autentica verità proprio come il sussurro del vento leggero nella quale Elia ha colto la presenza di Dio.
L’uomo profondamente libero e leggero è in grado di cogliere l’oltre della vita dispiegato dalle altezze delle montagne, un oltre che permane nonostante le tempeste imperiose che a volte si abbattono sull’esistenza. Quando piove o c’è burrasca, le montagne sono li che continuano a parlare dell’infinito. Così è del cuore umano. Nonostante la burrasca dell’odio, la tempesta dell’indifferenza e la nefandezza della superbia, il cuore contiene sempre germogli di ulteriorità e aneliti di vita in grado di rimettere nell’uomo il circolo vitale della bellezza con la quale e per la quale siamo stati creati. “Mangiate la bellezza!” scrive Angelo Casati nel suo libro Le paure che ci abitano: “le parole degradate ci fanno degradati, le parole della bellezza ci fanno donne e uomini della bellezza, della bellezza del vivere e della bellezza della terra”. La bellezza è essenziale. Non ha bisogno di orpelli e di troppe parole che distolgono dal suo mostrarsi. Il Messia – bambino che aspettiamo nel suo ritorno, è lo stesso uomo che ha scelto la bellezza della povertà, che ha visto la bellezza nei feriti della storia, ha abbracciato e amato quanto di non – bello opprimeva l’uomo favorendo l’emergere dell’autenticità in ogni scartato da lui incontrato.
L’Avvento non è, dunque, in modo semplicistico la “difesa di una tradizione”. Non è nemmeno lo stordimento che luci e decorazioni offrono alla vista di chi percorre le strade e le piazze delle nostre città; il senso dell’Avvento sta nel far uscire fuori la libertà, la leggerezza e la bellezza che si esprimono nell’uomo in grado di andare incontro ai bisogni dell’altro, nell’uomo che non ha paura di toccare la sofferenza del povero rischiando di “sporcarsi” le mani, nell’uomo che non ha paura di abbracciare il diverso per il colore della pelle, per la religione o per la cultura di appartenenza; in una sola parola, il vero Avvento può realizzarsi solo in chi ha il coraggio di tentare di riappropriarsi e far riappropriare il proprio simile della bellezza e dell’oltre che lo abita. Si potrebbe concludere riprendendo e parafrasando Agostino: ci hai fatti per Te e non per l’io; ci hai fatti per la bellezza e non per la “degradatezza”; ci ha fatti per la vita e non per la morte; ci hai fatti per la speranza e non per la disperazione.
Semplicemente emerge da questo testo, la goia che si può provare nel compartire con sorriso e sguardo saggi, qualcosa sia con i nostri fratelli affamati, da sicurezza, cibo, ascolto, la mano amica. Spinti dal più vero e puro amore, dobbiamo andare al incontro di quelli che hanno bisogno di noi.
Molto bella come riflessione, vivere la vita no con ansia , paura ma con la leggerezza della libertà, che solamente credento in Dio possiamo scoprire.
Le tue riflessioni i tuoi paragoni sulla natura il Volo degli uccelli tutto è parallelo a tutte le cose che ci circondano l amore la vita che porta ha chi crede nel amore di Dio