La “non contraddizione della tradizione”

La "non contraddizione della tradizione"
24 Gennaio 2017

Qualche giorno fa il card. Caffarra è ritornato sulla questione dei “dubia” formulati a proposito della interpretazione di “Amoris laetitia”. In apertura afferma che “la lettera – e i dubia allegati – è stata lungamente riflettuta, per mesi, e lungamente discussa tra di noi. Per quanto mi riguarda, è stata anche lungamente pregata davanti al Santissimo Sacramento. (…) Il testo finale quindi è il frutto di parecchie revisioni: testi rivisti, rigettati, corretti”. Si tratta perciò di una scelta precisa. Su alcune cose avrei molto da dire, ma un punto, in particolare ha catturato la mia attenzione. Tutta la lettera si appoggia tutta su una base che il Cardinale ritiene di sicura tradizione, cioè che l’evoluzione della dottrina cristiana avviene senza mai contraddirsi. “Non c’è evoluzione laddove c’è contraddizione”. Se si contraddice non c’è sviluppo, ma tradimento. Su questo mi permetto di portare qualche esempio storico.

Il concilio di Trento (1547) affermava: “Sia scomunicato chi afferma che i bambini, una volta divenuti adulti, devono essere interrogati, se intendono confermare quello che i padrini, quando furono battezzati, promisero a loro nome, e che qualora rispondessero negativamente, devono essere lasciati padroni di sé stessi e non devono esser costretti alla vita cristiana”. Nel 1965, il Vaticano II, nella “Dignitatis Humanae” afferma: “Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa”.

Ancora. Il Catechismo Maggiore di San Pio X, nel 1905, dice: “È lecito uccidere il prossimo quando si esegue per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, del 1997, afferma: “Il quinto comandamento proibisce come gravemente peccaminoso l’omicidio diretto e volontario. L’omicida e coloro che volontariamente cooperano all’uccisione commettono un peccato che grida vendetta al cielo”.

Infine, dal concilio di Firenze, ripreso da quello di Trento e dal Vaticano I, il magistero aveva sempre dichiarato che i libri della Bibbia “contengono la rivelazione senza nessun errore”. Quindi era vera anche nelle sue affermazioni storiche o scientifiche. Nel 1965, il vaticano II, nella “Dei Verbum” afferma che “i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture”. Sembra una piccolissima differenza, ma quell’inciso (per la nostra salvezza) introduce una direzione chiara alla verità della bibbia, che non è più la verità totale e globale, quindi anche storica o scientifica, ma soltanto quella relativa alla nostra salvezza.

E si potrebbe proseguire, sulla concezione degli Ebrei in rapporto alla salvezza, sulla guerra “giusta”, ecc.. Ma mi fermo, perché credo che questi esempi siano più che sufficienti a mostrare come sia effettivamente l’evoluzione della dottrina. Allora mi chiedo come mai il cardinale ha scelto una base così dubbia per segnalare i suoi dubbi al papa? Azzardo qualche ipotesi.

Prima. Non ci sono molte altre scelte possibili. Cioè, di fronte alla necessità di segnare, ad ogni costo, una distanza tra le proprie posizioni e quelle del papa, il cardinale è consapevole che non può dire pienamente quello che pensa, che cioè il papa come minimo è stato imprudente o forse ha proprio sbagliato. Lui stesso dice che una delle sue preoccupazioni “era che nessuna persona, credente o non credente, potesse trovare nella lettera espressioni che anche lontanamente suonassero come una benché minima mancanza di rispetto verso il Papa”. Excusatio non petita, accusatio manifesta! Perciò era necessario ancorare i “dubia” ad un dato della tradizione, pur se fragile.

Seconda. Ha bisogno di spostare l’obiettivo, se no non è credibile. Il cardinale sa bene che la differenza tra lui e Bergoglio è di carattere antropologico e non teologico, né tantomeno di fede. E’ molto chiaro, nell’articolo, che in ballo non c’è tanto il problema dell’eucarestia ai divorziati, ma una intera concezione dell’uomo e delle sue dinamiche interne. E questo tipo di differenza è sempre stato possibile all’interno della fede. Perciò, una richiesta di chiarimento sul piano antropologico sarebbe stata meno credibile di una sul piano dei principi della tradizione di fede.

Terza. E’ davvero convinto del principio di non contraddizione della tradizione. Agli occhi di Caffarra forse questi dati che ho mostrato non segnalano effettive contraddizioni e quindi è davvero convinto che il principio su cui si è appoggiato sia vero. Certo, ognuno può rileggere i testi che ho presentato come vuole. Ma è difficile spiegare le differenze come non contraddizioni. Anche se continuo a credere che nulla sia impossibile a Dio.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)