Il Divino e l’Umano

La nomina di don Enrico Trevisi a vescovo di Trieste può rappresentare una svolta nella pastorale della chiesa locale giuliana?
6 Marzo 2023

Per gentile concessione dell’autore pubblichiamo di seguito due interventi sul futuro della diocesi di Trieste pubblicati su Il Giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano (n.703, 5 marzo 2023).

 

L’intervista del Vescovo eletto di Trieste, don Enrico Trevisi – che riceverà l’ordinazione episcopale sabato 25 marzo prossimo, tra venti giorni esatti, nella Cattedrale di Cremona e prenderà poi possesso della Diocesi di Trieste la successiva domenica 23 aprile -, sanciscono una svolta nella pastorale di chi guida – guiderà – la Chiesa locale giuliana (cattolica).

Sino ad oggi, la conduzione episcopale della Diocesi di Trieste ha visto una forte affermazione identitaria ricondotta a cosiddetti “diritti di Dio”, la cui affermazione ed il cui riconoscimento sopravanzano la condizione umana e le contraddizioni della storia concreta ed effettiva di centinaia di migliaia di persone. Potremo parlare di una pastorale deduttiva, a movimento “discensionale”, che benevolmente si cala, con una certa prudenza e non senza garanzie, nelle gioie e nelle speranze, nelle tristezze e nelle angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono.

La stessa provenienza di ormai buona parte del clero triestino – ordinato da mons. Giampaolo Crepaldi, attuale Amministratore Apostolico della Diocesi – dalle fila del Cammino Neocatecumenale ne è evidente attestazione. Così come pure il ciclo delle prossime conferenze della cosiddetta “Cattedra di San Giusto”, incentrato sulle figure di Luigi Giussani, Carmen Hernández e Benedetto XVI e voluto dallo stesso attuale Amministratore Apostolico (che cesserà la domenica 23 aprile).

Prima il Divino, poi l’Umano.

Le parole del Vescovo eletto, però, vanno in altra direzione, di certo non contrapposta, ma abbastanza chiaramente capovolta. Vale a dire: è necessario un metodo pastorale induttivo e non deduttivo. Che parta dalla storia e non che ad essa arrivi dall’alto.

A tal proposito, si è alquanto diffusa l’idea che, dopo una presunta debacle vocazionale dell’episcopato di mons. Eugenio Ravignani, mancato il 7 maggio 2020 dopo aver rinunciato al ministero di Vescovo diocesano nel 2009, Trieste stia rivivendo, da almeno dieci anni, una fioritura di ingressi nel clero – nel grado di diaconi ma anche (verrebbe da dire “soprattutto”) in quello di presbiteri – mai vista nel recente passato. E proprio questa domenica, 5 marzo 2023, compare, affisso alle porte delle chiese triestine, l’annuncio di altre due prossime ordinazioni presbiterali da parte dell’attuale Amministratore Apostolico, l’Arcivescovo mons. Giampaolo Crepaldi, ormai Vescovo emerito, il 26 marzo, vale a dire la domenica esattamente successiva all’ordinazione episcopale a Cremona del nuovo Vescovo eletto, Enrico Trevisi, che avverrà il sabato 25. Davvero singolare.

Cerchiamo di ricostruire un quadro coerente.

In occasione dell’ordinazione diaconale dei due futuri presbiteri lo scorso 17 settembre, mons. Crepaldi adoprò, tra le altre, le seguenti parole, al n. 3 della sua Omelia: «Il diaconato non è una semplice funzione e non vi chiede di essere “operatori pastorali”, come va di moda dire al giorno d’oggi, ma vi consacra, cioè vi “separa”, affinché tutta la vostra persona sia spesa per il Vangelo. Siete “consacrati nella verità” (Gv 17,17) che stabilisce un’essenziale appartenenza a Cristo, che vi rende partecipi della sua vita e del suo destino e vi abilita ad agire nella sua persona. Questa missione è specialmente necessaria nella nostra Trieste, una città in gran parte secolarizzata, e rappresenta una vera e propria responsabilità su cui dovete impegnare il vostro servizio a Cristo e alla Chiesa. Purtroppo anche i triestini sono spesso preda di visioni della vita lontanissime dal Vangelo e in aperto contrasto con esso. A loro portate Cristo e il suo Vangelo di salvezza».

Il novanta per cento delle ordinazioni di preti triestini durante l’episcopato di mons. Crepaldi riguarda candidati provenienti dal Cammino Neocatecumenale, che infatti ha nella Diocesi il proprio apposito Seminario “Redemptoris Mater”, separato dal Seminario Interdiocesano di Gorizia-Trieste-Udine, che non è neocatecumenale.

Le parole dell’Ordinante sopra riportate sono del tutto sovrapponibili alla visione teologica di questo novanta per cento. C’è qualcuno che, da fuori, dall’alto, ha l’ordine imperativo di portare le parole di salvezza ai triestini traviati, secondo quell’attitudine deduttiva – e per nulla induttiva – su ci siamo permessi di fare qualche altra considerazione nell’editoriale odierno.

Ma c’è un aspetto che non può sfuggire. E cioè: perché non si è atteso che procedesse alle future ordinazioni il nuovo Vescovo? Enrico Trevisi entrerà nella Cattedrale di San Giusto, per prendere possesso della Diocesi, domenica 23 aprile, neanche un mese dopo la data fissata per le ordinazioni dei due nuovi preti. Non si poteva aspettare per 29 giorni? Quest’assoluta urgenza – essendo l’ordinazione un fatto pubblico, la domanda è del tutto lecita – da che cos’è determinata?

Perché esiste pur sempre anche una norma canonica, il § 1 del can. 428 del Codice di Diritto Canonico, che ordina testualmente: Mentre la sede è vacante non si proceda a innovazioni. L’incremento del presbiterio diocesano è un’innovazione? Sembra difficile poterlo negare.

Sembra, quasi, cioè che debbano ad ogni costo brillare gli ultimi bagliori di una formazione seminaristica parallela alla storia postconciliare della Chiesa di Trieste, con provenienze presbiterali del tutto estranee rispetto al contesto concreto della Diocesi e della sua memoria capace – in quanto tale – di farsi realtà viva e attuale.

Anche il Vescovo Trevisi, certo, proviene da altrove, da Cremona e ha confessato senza falsi pudori e con estrema sincerità di non essere mai stato prima a Trieste. Ma in questo caso è vera e propria vocazione ad un ministero di guida né ricercato né inseguito in giro per l’Italia. Ci si chiede, per esempio, come siano stati possibili alcuni inserimenti presbiterali nella diocesi di Trieste – pur magari (non lo sappiamo) senza incardinazione – di preti che non facevano parte del suo clero.

Fatichiamo, peraltro, a comprendere cosa ci sia di improprio nel pensare al ministero ordinato come ad una “funzione” a servizio della Comunità e quale accezione negativa abbia mai il termine di “operatore pastorale”. Che sia necessario il discernimento ecclesiale per l’ordinazione, e non sia sufficiente il desiderio soggettivamente avvertito, è ormai teologicamente fuori di discussione. Almeno si spera.

I percorsi di Chiesa sono molteplici. La fede è una, le teologie sono molte.

Una Chiesa a servizio della città fu un documento imprescindibile ed indimenticabile per Trieste tutta, voluto dal Vescovo Lorenzo Bellomi, predecessore di mons. Ravignani.

Finora a Trieste si è respirata una sola teologia veicolata dalla maggioranza dei nuovi preti, ben definita ed inquadrata. Di chiara impronta. Ora il desiderio è forte perché l’ascolto – di nuovo: induttivo, “dal basso”, per così dire – del Popolo di Dio apra la speranza (anche) in altre direzioni, sapendo che Trieste è terra benedetta, come ogni parte del Mondo più che del cielo.

In tal senso, la tragedia di Cutro interroga profondamente la Chiesa Italiana: quale pastorale si deve scegliere? Anzi, prima ancora: quale opzione di teologia pastorale? Dall’alto o dal basso? Quei cadaveri dell’arenile sono il Cristo morto oppure no perché necessitano di verifica quanto al loro avvenuto battesimo?

Esiste un meraviglioso canto liturgico del Centro America, intitolato “Cristo mesoamericano”, in cui si invoca un “Cristo madre y compañera” ed un “Cristo, niña de la calle”. E prima ancora, nelle parole che precedono:

Cristo negro, Cristo Maya,
Cristo mískito y chorti;
Cristo lenca, Cristo Nahua, galileo e quiché.
Cristo río y montaña, Cristo árbol, Cristo mar,
Cristo puma y quetzal, Cristo selva por talar.
Cristo obrera, costurera; la maquila y el hogar (….)”.

L’identità galilea di Gesù di Nazaret – confessato dai Cristiani come l’Unto di Dio, il Messia – si accompagna alla sua identità di indio quiché. Così come, potremo facilmente tradurre, di indio, e india, triestino, e triestina.

Insomma a Trieste, per quanto riguarda la storia contemporanea della sua Chiesa Cattolica, le cose stanno rapidamente cambiando, dopo che per dieci anni vi è stato uno sfasamento tra la presenza di un Vescovo di Roma che si è fatto chiamare Francesco e che è succeduto al rinunciante predecessore già cardinale Joseph Ratzinger ed un Vescovo di Trieste la cui linea teologica era, invece, chiaramente ancora ratzingeriana. Ci manca l’acume e la sapienza di Giovanni Miccoli, grande storico triestino della Chiesa, per leggere in profondità il cambiamento in atto a Nordest.

Proviamo a darci allora degli orizzonti temporali di riferimento: nel 2025 Gorizia sarà Capitale europea della Cultura, e Gorizia è sede metropolitana arcivescovile, di cui Trieste – come si dice tecnicamente – è sede suffraganea, costituendo assieme alla prima la Provincia ecclesiastica di Gorizia, per appunto. I due Vescovi di tale Provincia rispondono, dunque, al nome e cognome di Carlo Roberto Maria Redaelli – arcivescovo di Gorizia – e Enrico Trevisi – futuro vescovo di Trieste -. Un’impronta martiniana, conciliare, bergogliana, altrettanto evidente.

Ci chiediamo: da oggi sino al 2025 potremmo pensare, con la necessaria umiltà e modestia, di offrire, a tale Provincia ecclesiastica, un contributo di riflessione pastorale che attinga, allo stesso tempo, alle grandi Tradizioni delle Chiese d’Oriente ed alle nuove “Tradizioni” – con un ossimoro – che continuano in particolare a fiorire in Centro e Sud America (il pensiero va al cosiddetto “rito amazzonico”), mantenendo unita tale polarità tramite il riferimento centrale alla Tradizione Ebraica, che per la Trieste della modernità e dei nostri giorni è di importanza fondativa prima ancora che fondamentale? Per il momento non ci pare il caso di dire di più.

Adesso è il momento della fiducia, della gioia, della comprensibile trepidazione da parte del già a noi carissimo Vescovo eletto, della speranza, dell’entusiasmo e dell’impegno. A partire dall’Umano.  A partire dalle bare di Cutro.

 

3 risposte a “Il Divino e l’Umano”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ma se un Cristo, Dio fatto uomo, è venuto in Terra, (non mi pare questo una “umiliazione”), ma una grande testimonianza di amore, questo si materno da parte di Dio Padre, perché insistere a vedere o ipotizzare un diverso modo di essere Clero, se da Scuola Ratzingeriana o Francescana. Non sono questi Pastori anche con qualità e personalità diverse, dimostrati e dimostranti Servitori di Cristo? Perché una Chiesa vista così al comune fedele appare non Una, ma già partitica, come si rivela la politica, un vedere che anche ciò che è da Dio ha da assumere modello umano, legge, imposizione autoritaria, cio’ non corrisponde a verità perché è un Dio di Amore quello che ha saputo sacrificare il Figlio Cristo per servire al bene degli uomini. Un intervento presso quell’uomo sua creatura amata, un uomo che essendo di terra ha necessità di sapere come è quale via per arrivare a Lui, godere di quel regno che è stato pensato per lui, la vita eterna quella stessa che è in Dio.

  2. Roberto Beretta ha detto:

    Nel fare i miei più sinceri auguri al neo-vescovo, faccio osservare che nella mia lunga esperienza di giornalista nel mondo cattolico, ho sempre visto bellissime e promettenti interviste di vescovi appena eletti, che poi nei fatti hanno gestito il potere più o meno come gli altri… Sono molto lontano dalle preferenze ecclesiali di Crepaldi, peraltro ben note, ma in fondo lui ha rappresentato una visione di Chiesa che è ben presente in Italia. Cosa voglio dire con queste due osservazioni? Che far dipendere la realtà di una comunità dalle tendenze del suo vescovo (il vecchio o il nuovo, poco importa) non porta lontano dal solito clericalismo.

  3. Pietro Buttiglione ha detto:

    Adesso è il momento della fiducia, della gioia…… a partire dalle bare di Cutro.

    Ma descrivi una realtà di divisioni..
    Martini.
    Che rifiutava una Chiesa di parte.
    Come pure una Parrocchia schierata con UN movimento..
    Ma tutti accettano deginizioni del tipo:
    Vescovo dei Foco..
    Prete di C.L.
    SEMINARIO dei neocatecumenali..
    Qui qualcuno si è bevuto il cervello e scordato Paolo.
    Esattamente come x il PD una simile impostazione conduce solo ad una fase….
    La skomparsa.

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