Il Dio svendibile e il Gesù vivente

Stato e Chiesa possono giungere ad un accordo soddisfacente per entrambi, ma cosa si muove dentro i singoli credenti?
20 Maggio 2020

Ho letto l’articolo di Gilberto Borghi sul digiuno eucaristico: Dio per me o io per Dio. Queste parole mi hanno fatto molto riflettere e mi hanno riportata indietro, all’inizio di questa terribile pandemia che stiamo vivendo e che io non considero affatto conclusa. Esordisce così l’articolo: “Ora che l’accordo tra stato e chiesa sembra essere fatto…”. Un accordo politico, economico e teologico. Nessuna domanda che invece ponesse l’accento su ciò che è veramente importante per un credente. Io posso dare la mia testimonianza.

Da quando è scoppiata la pandemia, dentro di me è successo qualcosa di particolare, di unico. Ho sempre pensato alla vita in senso assoluto. La morte è sempre stata la fine di un percorso, qualcosa da poter rimandare, e invece ho scoperto che si può morire banalmente per una influenza. Ho avuto paura per le mie condizioni fisiche, condizioni che sino ad allora avevo pensato di controllare. Ho capito che tutto era diventato imminente, precario, instabile. Si muore. Le bare ti infliggevano. L’immagine di papa Francesco, solo in quella piazza, penso rimarrà scalfita per sempre nel mio cuore. Ho provato un gran senso di solitudine, di angoscia. Cercavo un appiglio, ma non un antidoto che mi impedisse di sentire il dolore di quella umanità ferita. Sentivo forte il bisogno di pregare. Sentivo dentro di me che quello era il momento del silenzio, della riflessione. Cosa era stato Dio per me sino a quel momento? Mi sono fermata, non solo forzatamente. Un mistero insondabile la fede. La croce, una follia incomprensibile.

Una fede nutrita dalla criticità, la mia. Un Gesù inchiodato alla croce, fisso, immobile, statico. Un Dio da venerare, svendibile alla prima occasione. Da richiamare alla memoria quando eri in pericolo, una avemaria magica, consolatrice. Un Dio da implorare e al tempo stesso da condannare. Un Dio paradosso, opinabile.

Ho ascoltato sin da subito la messa del mattino di papa Francesco. Mi sono sentita come una bambina bisognosa di apprendere, di capire, di ascoltare. Papa Francesco mi ha dato la possibilità di innamorarmi di un Gesù che ho sentito palpitare dentro di me. Ho sentito vivere quel Gesù che non riuscivo a fare esplodere, che tenevo chiuso, forse perché avevo paura. Sì, paura, come Pietro quando ha rinnegato Gesù. Eppure, a quanti miracoli avevo assistito. Mi sono fermata in quel deserto, in quel silenzio in cui echeggiava forte il vangelo. Gesù pregava per me, insieme a me, uno scambio osmotico di nutrimento, di pace che ha toccato il mio cuore, la mia anima. Ho provato una grande gioia, intensa.

Ora invece, essendo stati liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi avete per vostro frutto la santificazione e per fine la vita eterna. Infatti, il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesú, nostro Signore”.

Io mi ero soffermata al miracolo dei pesci, alla grandiosità, ma non alla parola. Il Signore mi ha donato la grazia di riconoscermi peccatrice. Papa Francesco ha parlato di proselitismo, di potere temporale, ha parlato di falsi pastori. Lui durante la Via Crucis ha voluto accanto a sé gli ultimi, i carcerati, coloro che hanno solo un peso per l’umanità e non un valore. Ha dato voce agli ultimi. Lui in tutto questo periodo mi ha fatto capire il valore e il dono dell’appartenenza. La fede è qualcosa che si spinge oltre l’ecclesiologia, non è indottrinamento, siamo lontani dal medioevo. Eppure, perpetuiamo e reiteriamo lo stesso stereotipo.

Io non ho sentito il digiuno, ma un forte nutrimento. Mi sono sin da subito chiesta come poter raggiungere gli altri, in un momento in cui dovevi stare isolata. Forse potevo farlo solo continuando a camminare.  “Sii tu il cambiamento che vorresti vedere negli altri”. Già, aspettare che gli altri cambino è un’utopia, significherebbe ripartire da dove avevamo lasciato, da quel famoso 4 marzo.  Il cambiamento più difficile è divenire testimoni visibili di un mutamento, ossia fare in modo che la nostra vita diventi Testimonianza. Non è stato un allontanamento forzato per me, non andare in Chiesa, ma una rinascita. Gesù ha vissuto il deserto, la morte, l’agonia. Ha sentito il dolore del distacco quando in croce ha gridato aiuto al Padre.

Penso che dovremmo rivalutare tutti il nostro concetto di fede. Non voglio schierarmi con chi ha inneggia all’apertura delle chiese solo per meri scopi politici o con chi rema contro. Nessuna motivazione che mi veda complice, poiché vanificherei il cammino fatto sino ad ora, ossia la visione di una chiesa che anticipa i tempi anziché trovarsi impreparata. Una chiesa che ogni mattina ha nutrito i fedeli di speranza, di consolazione, laddove c’era solo angoscia e perdita. Sbagliamo tutti, e continueremo a farlo.

Più volte in questi mesi ci siamo emozionati davanti alla bandiera dell’Italia, davanti a quel tormentone “Andrà tutto bene”, era solo uno slogan eppure, io ci ho creduto veramente, perché ho pensato che potevo iniziare da me, dalle mie fragilità, dalle mie macerie. Papa Francesco ci invita a metterci in cammino, un popolo che si identifica con l’apostolo, l’inviato, il rappresentante di Cristo. Non riconoscersi in questa Chiesa è facile, per quei pochi che richiedono il cambiamento, ma quanto siamo disposti a fare per ricostruire e non ricominciare da dove avevano lasciato?

4 risposte a “Il Dio svendibile e il Gesù vivente”

  1. Rossana Iachelli ha detto:

    La spiritualità è una cosa che nasce dentro di noi, non deve avere necessariamente un nome, non c’è ne bisogno. Il nomenclare, il catalogare, il richiudere tutto dentro delle categorie è un cosa di cui gli esseri umani pare abbiano bisogno, forse per difendersi, per paura o per mera ignoranza. La spiritualità è tutta un altra cosa e io non credo che un sentimento così vasto possa stare dentro dei confini. Così come l’amore.

  2. Francesca Vittoria Vicentini ha detto:

    Siamo come gli apostoli in una barca in preda ai marosi, ci adattiamo all’onda dei marosi, la paura è naturale perchè la vita è il dono piu prezioso per tutti. Non è Dio che ci ha mandato questo virus, esso viene dal nostro mondo come l’abbiamo ricreato. E’ umiliante avere una museruola, castiga la liberta di un abbraccio. L’apicultore è preoccupato per le api che non trovano il nettare da fiori senza esticidi,il miele è medicinale per l’uomo. Il virus è contaggioso, causa di morte se non curato in tempo. Il giornalista scrive “per restituire la decenza, umana e giuridica, a una societa civile”. E’ un diritto sapere chi è il colpevole delle morti degli anziani deceduti in casa di riposo”. Io non penso alla sconfitta della fede, alla scomparsa di dio. Per questo serve sperare, pregando il Dio della Misericordia con un coro unanime da ogni angolo della Terra, per la Vita dell’uomo e del creato.

  3. Sergio Di Benedetto ha detto:

    Ringrazio Giusy Milone per la bella testimonianza, così vera e così personale. Credo potremo costruire legami buoni a partire dalle nostre miserie e dalle nostre confessioni, ma anche condividendo ciò che ci ha reso migliori.

  4. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Passare da un:
    ANDRÀ TUTTO BENE
    ad un
    CE LA FAREMO
    declinato alla papa Francesco:
    CE LA METTEREMO TUTTA PER FARCELA
    _————_
    PS e per santa grazia evitiamo:
    – è un castigo di dio!!!!
    Ma anche:
    – tanto ci pensa Lui!
    conditi da fatalismo e non certo da vera Fede.

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