Rileggendo attraverso le lenti della comunicazione il Vademecum della Congregazione per la dottrina della fede, pubblicato giovedì 16 luglio in tema di pedofilia nella Chiesa, possiamo rilevare quattro accenti interessanti.
1) La notitia de delicto deve essere presa sul serio anche quando viene «diffusa dai mezzi di comunicazione di massa (ivi compresi i social media)» (n. 10) e, per quanto da valutare con cautela, anche da fonti anonime (n. 11) che non vanno incoraggiate. Quello che non viene detto esplicitamente, ma è tutto sommato sottinteso in tutto il testo, è che più è alta la trasparenza meno queste ultime forme vengono di fatto incoraggiate. Insomma, fare spallucce anche di fronte a qualche titolo sparato sui quotidiani non è cosa saggia.
2) «È bene che si attivi la comunicazione» tra vescovi ordinari di diverse diocesi o tra vescovi e superiori religiosi, interessati a una medesima notitia de delicto (n. 22): ovvio? Fino adesso no. Quindi questo è un evidente “incoraggiamento” a far fluire la comunicazione tra i nodi della rete ecclesiastica, pur con tutta la prudenza sul come farlo. Ci saremmo risparmiati tanto dolore per colpevoli non fermati per tempo.
3) Cautela «quando si debbano diffondere pubblici comunicati» durante l’indagine previa (n. 45): il dichiarare qualcosa prima di un processo deve tener conto allo stesso tempo della presunzione d’innocenza e della buona fede della presunta vittima. Operazione complessa ma non impossibile. Quello che è importante è che il Vademecum non è un invito a tacere. Neppure per le vittime o per i testimoni (n. 30).
4) Comunicare alle autorità civili (n. 48)? Sì se lo prevede la legge, sì se la vittima è d’accordo o se il tacere crea pregiudizio per lei, «incoraggiando l’esercizio dei suoi doveri e diritti di fronte alle autorità statali».
Parole chiare per i vescovi, parole chiare per i comunicatori istituzionali.
(articolo tratto da re-blog.it)