Reinhold e le cime «religiose»

A margine di un recente colloquio con Messner sulle nuove croci sui monti: «Nessuno deve occupare le montagne»
18 Giugno 2013

Anche chi in passato ha trovato fuori misura certe sue provocazioni politiche o qualche concessione commerciale al circo mediatico, deve riconoscere a Reinhold Messner una profondità di ricerca personale oltre che un’enciclopedica conoscenza delle vicende alpinistiche. Ed ora che “il re degli Ottomila” non sfida più i suoi limiti appare più credibile nell’instancabile tentativo di raccogliere in vari musei e restituire la sua “eredità culturale”, comprensiva di un approccio interreligioso della spiritualità della montagna: “tutte le religioni sono un grande aiuto a vivere – dice Messner – ma invece di fare la guerra devono saper dialogare fra loro e mettersi in ascolto di profeti come San Francesco, Buddha o Chiara Lubich che hanno saputo intuire grandi cose”.
Pochi giorni fa a Trento, nell’ambito del Film festival della montagna, abbiamo avuto occasione di dialogare con lui sotto le conifere del “Parco dei mestieri della montagna”, sottoponendogli la questione dei simboli sacri sulle montagne, riaperto da un recente documento di alcune associazioni ambientaliste.
È stato come offrirgli una gradita staffa: “Sono convinto che nessuno debba occupare le montagne – è la posizione di Messner – altrimenti diventiamo come Mao che aveva portato il suo busto sull’Everest per dimostrare che il tetto del mondo apparteneva ai comunisti. E Stalin ha fatto la stessa cosa”.
I monti parlano già un linguaggio spirituale: “La natura ha una dimensione divina – così dice Messner – soprattutto perché ci fa capire che noi uomini siamo piccolissimi, siamo un niente davanti alla grandezza della montagna. Dobbiamo avvertirne la paura, che allora si trasforma in rispetto”.
Pur dichiarandosi cristiano, cresciuto dentro una cultura cristiana, ma senza sentirsi in grado di “dire qualcosa sull’aldilà, che non abbiamo gli strumenti per conoscere”, Messner non ha esitazioni a sostenere che non vadano più collocati nuovi manufatti sulle cime. “Non sono contro le croci, ma adesso basta – afferma per il futuro, lasciando intendere rispetto per il passato – altrimenti anche questa diventa una forma di occupazione della montagna”.
Un consiglio d’esperto, pienamente in linea con alcuni documenti di diocesi montanare che hanno ribadito come “già la montagna da sola è un inno al creatore” e che hanno invitato, prima di ipotizzare altre “istallazioni” sulle cime (tanto più se luminose, impattanti e avulse dal contesto), a tener conto della sobrietà, del rispetto dell’ambiente, della sua storia e delle comunità che ci vivono.

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