Fareste uscire vostra figlia con l’«homo oeconomicus»?

La crisi finanziaria mondiale é anche una crisi vocazionale: dell'economia in sé ma anche del progetto di vita che guida chi la fa.
20 Settembre 2012

Cosa c’entrano l’economia e la crisi della finanza mondiale con la sfida educativa che anche la Chiesa italiana si è proposta come impegno pastorale per un decennio? La domanda è retorica e la risposta è davvero complessa. Ma le azzardo tutte e due.

Di spiegazioni sull’origine della crisi finanziaria ne abbiamo lette tante: in buona sostanza, ci siamo fatti dominare dalla ansia speculativa di una finanza gestita come una slot machine inesauribile, invece di far guidare la finanza da un’economia concreta, fatta di lavoro, prodotti e servizi, possibilmente con obiettivi alti. Insomma, finanza ed economia non hanno fatto il loro mestiere.

L’altra questione è che siamo in crisi vocazionale, che è una questione educativa e spirituale insieme, anche extra ecclesia. Le persone troppo spesso sembrano non essere al posto giusto.

Per esempio, secondo l’ultimissimo rapporto del Cnel più di 1 giovane su 3 in Italia non fa il lavoro che avrebbe voluto /per cui ha studiato. E in troppi non osano scelte fuori schema.

La chiesa e il mondo, così vicini e così lontani, hanno anche questi due problemi in comune a giudicare dalle cronache: un rapporto con la finanza e l’economia da rivedere e una crisi di vocazioni e di fiducia.

Il professor Clayton M. Christensen è uno stimatissimo economista statunitense, docente di punta ad Harvard. È mormone, anzi, è uno dei leader della Chiesa mormone, proprio come Mitt Romney, il candidato repubblicano alla Casa Bianca.

Cosa c’entra col nostro argomento? È un economista che non lascia fuori il suo credo religioso dal suo mestiere quotidiano (così sembra) e fa delle lezioni di economia ben strane visto anche dove le tiene.

Ho letto, grazie a un amico “in carriera”, un articolo di Christensen del 2010 sulla versione online della Harvard Business Review che riportava il contenuto di una originale lezione di fine corso per i suoi studenti in procinto di laurearsi.

I ragazzi, prossimi manager d’assalto, invece di chiedere all’illustre guru le ultime dritte su come accumulare milioni e fare le scarpe a colleghi e competitors tra borse mondiali ed hedge fund, hanno chiesto al loro insegnante di aiutarli a capire il significato della propria esistenza. E lui ha risposto, senza ricette, invitandoli sostanzialmente a prendere i modelli economici che aveva insegnato nel corso e ad applicarli alle loro vite specifiche, e non a Stati o aziende; mettendo in gioco a mo’ di case study la sua stessa vita: ohibò, un educatore!

La domanda chiave della sua lezione era: “Qual è l’unità di misura della tua vita?” E poi: te lo sei mai chiesto? L’hai scelta? L’hai trovata? La persegui?

Sono un po’ ingenuo e romantico. Ed ecco che dalla lezione del professor Christensen (che vi invito a leggere e anche a criticare) mi porto via queste due cose.

La prima. Le teorie economiche non sono leggi perfette né sono immodificabili: sono tante, (pochissime quelle note e applicate e genericamente mal spiegate; tante altre molto meno note e applicate) e sono strumenti che servono o non servono a seconda dell’obiettivo. Quel che conta è l’obiettivo che si persegue.

Pochi giorni dopo Christensen ho letto un bell’articolo di Leonardo Becchetti, economista anche lui: “Siate egoisti, fate del bene”.

Becchetti cita un collega e si domanda e ci domanda: “Fareste uscire vostra figlia con un homo oeconomicus?”. L’homo oeconomicus sarebbe quello che persegue il massimo profitto per sé. Becchetti ricorda “un collega psicologo affermare acutamente di essere rimasto stupito dal fatto che gli economisti avessero assunto a modello una caricatura di uomo le cui caratteristiche lo rendono borderline, un soggetto da mandare in analisi”.

Ecco, io non farei mai uscire mia figlia con un uomo del genere. Noi tutti invece gli abbiamo affidato da almeno 30 anni il futuro di tutti i nostri figli.

Anche se, nel nostro caso specifico, il magistero della Chiesa da decenni ci ha messo in guardia da questa deriva ormai consumata. E oggi ci ricorda che si può fare economia e finanza in altro modo: basta dire che “va così il mondo”. E che si può essere economisti, finanzieri e manager, in un altro modo. Dice lo stesso Christensen: “Fare il manager è la più nobile delle professioni se è praticata bene. Nessun altra occupazione offre tanti modi per aiutare gli altri a conoscere e a crescere, ad assumersi delle responsabilità e ad essere riconosciuti per i propri successi e a contribuire al successo di una squadra”.

E qui arriviamo all’altro punto.

La crisi economica globale è anche una crisi spirituale e vocazionale. Dice tra l’altro Christensen: “È piuttosto sorprendente che una frazione significativa dei 900 studenti che l’Harvard Business School raccoglie ogni anno tra i migliori talenti del mondo abbia pensato così poco allo scopo della propria vita…”. Troppe persone, dal mondo della finanza a quello della politica e della pubblica amministrazione, dal fruttivendolo sotto casa all’impiegato del catasto sembrano non essere al posto giusto. Fuori posto, frustrati e soprattutto senza un “perché” bello nella vita che diventi testata d’angolo.

Continua Christensen: “Le vostre decisioni in merito all’allocazione di tempo personale, energia, talento sono quelle che in sostanza danno forma alla vostra strategia di vita. Come per le aziende… Se si studiano i casi di fallimento di tante imprese e progetti, scoprirete lo stesso elemento chiave: persone che hanno destinato sempre meno risorse personali alle cose che una volta avevano detto essere le più importanti per loro nella vita”.

Se la crisi mondiale è una crisi vocazionale, è anche dunque una sfida spirituale ed educativa: il punto cardine non sta tanto nei valori, nei modelli o nelle competenze da trasmettere (i contenuti, i principi etc) ma nel come esse vengono utilizzate, da quale persona precisa in quel preciso momento storico. E perché.

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