Sulla famiglia inquinante di Michela Murgia

Non sono sicura di sapere tutto sulla famiglia perché ne ho formato una mia. Ma una certezza ce l'ho: la filiazione d'anima di una maestra è magnifica, ma è proprio un'altra cosa ...
15 Dicembre 2015

E’ necessario avere esperienza delle cose per parlarne? A livello immediato parrebbe di sì: “Che cosa ne vuoi sapere, provaci prima di giudicare!”. Quante volte ci siamo sentiti rispondere così, mentre magari stavamo pontificando sulle scelte sbagliate di persone a noi vicine?

D’altra parte l’esperienza è fonte di saggezza, una delle primarie. Anche la filosofia si è avvicinata al tema in diversi modi, sottolineando la portata teoretica dell’agire: “Non si pensa che dopo aver agito, agendo e per agire” affermava Maurice Blondel.

E la pedagogia. Che prende sul serio la massima di Confucio (500 a.C.) secondo cui “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio imparo”.

È su questo presupposto, generalmente accolto, che si sono sollevate fior di obiezioni, e di prese in giro, a proposito del sinodo sulla famiglia, riassumibili in un titolo diventato virale in quei giorni, sottoscritto anche da molti cristiani, desiderosi di essere voce attiva di un confronto che toccava la vita di ciascuno: “Vaticano. Inizia Sinodo della famiglia. Tutti maschi, celibi, senza famiglia. Straparleranno di cose che non sanno entrando nei letti altrui”.

Forse è per questo che mi ha lasciato molto perplessa un’intervista a Michela Murgia, che lo scorso 13 dicembre parlava della sua ultima opera, Chirù. Il libro tratta della “filiazione d’anima, con tutto quello che comporta, anche nel rischio di manipolazione, che però c’è anche nelle famiglie”. Premetto che non l’ho letto, e non intendo in nessun modo criticarne il contenuto, vorrei solo soffermarmi su alcune parole dell’autrice, che poi ho ritrovato anche altrove.

“E’ il requiem della famiglia?” chiede l’intervistatrice “della famiglia tradizionale certamente sì. La famiglia sopravvivrà ma in altre forme”. Infatti per l’autrice “non esiste la famiglia tradizionale. Non c’è niente di naturale nella famiglia … Il legame di sangue è un inquinante sociale”.

Ecco. Allora 200 celibi maschi (che almeno tra loro litigano e si confrontano) non potrebbero parlare di famiglia con cognizione di causa, ma una singola scrittrice, a partire dal proprio parere personale, sì?

Forse le cose sono un pochino più complesse di così, allora. Forse pensare e confrontarsi è un altro modo di comprendere il reale, accanto all’esperienza. E forse l’ascolto di posizioni altre è un passaggio indispensabile, senza il quale è meglio astenersi dal pronunciare giudizi recisi su argomenti tanto complessi ed importanti, specialmente se si ha un ruolo pubblico.

Sarà perché, come ho già scritto, per me il legame con i miei figli è stato ed è un modo inaggirabile per leggere il mondo, la vita e Dio, sarà perché io-prima-di-diventare-madre e io-dopo-essere-diventata-madre siamo due persone profondamente diverse, sarà perché nessun altro amore al mondo riuscirà mai a far comprendere l’unicità dell’amore per un figlio, beh, per tutti questi motivi io adotterei una prospettiva un pochino più interlocutoria nell’affrontare questi temi. Se infatti dovessimo basarci solo sull’esperienza, perché la mia dovrebbe essere meno paradigmatica di quella di chiunque altro?

Il fatto è che non sono sicura di sapere tutto sulla famiglia perché ne ho formato una mia, e che sarei altrettanto insicura se fossi rimasta solo figlia, senza mai assumere il ruolo di sposa e di madre, biologica o adottiva. In tutto questo, comunque, una certezza ce l’ho: la filiazione d’anima di una maestra è magnifica, ma è proprio un’altra cosa …

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