Qualcosa in cui credere

Prosegue la quaresima con Marracash, questa settimana chiedendoci se c'è ancora qualcosa in cui credere e per cui morire...
29 Febbraio 2024

La scorsa settimana abbiamo inforcato lo sguardo del rapper Marracash. E abbiamo visto ancora una volta che spesso, nella vita, solo toccando «il vuoto» del nostro travagliare o sperimentando «la noia» dei nostri desideri, possiamo cominciare a cercare sul serio la «via d’uscita» dal «niente» antecedente e dal «niente» successivo a qualunque «successo» otteniamo o a cui aspiriamo. Soprattutto se riconosciamo la violenza predatoria nascosta ma insita in esso – e sempre pronta a riemergere. In termini evangelici, solo nel deserto la bestia selvatica che è in noi può convivere pacificamente con l’angelo che ci è necessario, ma… bisogna crederci!

Questa settimana, ancora sulla scia delle parole (meditate e vissute) dell’artista siciliano trapiantato nella periferia sud-ovest di Milano, approfondiamo tale crocevia e la sua possibile – se vogliamo crederci – trasfigurazione.

 

 

Marracash riprende di nuovo, in un certo senso fa memoria, quasi un memoriale, dell’esperienza cruciale per cui «l’idea improvvisa / che ero vuoto, senza scopo» – se non addirittura «truffa» – lo coglie sul baratro del burrone e della sua illusione di riuscire (finalmente) a volare: «ero a due passi dalla rovina, a due spanne dalla follia / due blocchi dall’inferno, a due cocktail dalla sua figa / yo, a due grammi dall’overdose / a due zeri da quella Rolls». Esattamente come Pietro, il quale – appena posto a fondamento della Chiesa e ricevute le chiavi del Regno, dunque il Potere (Mt 16,17-19) – viene precipitato da Gesù nell’abisso della croce, che egli prova a rimuovere ma che alla fine deve riconoscere (Mt 16,21-23).

Per questo, come scriveva domenica scorsa Maria Grazia Giordano, Pietro fa quasi «tenerezza» nel suo immediatamente successivo attaccarsi – disperato? speranzoso? – a quell’immagine sfolgorante di luce che lo abbaglia sul monte Tabor (Mc 8,3.5). Lo stesso rapper milanese confessa che nei «momenti che era brutta», con «il cuore spezzato», anch’egli avrebbe «pregato qualsiasi dio»: perché solo «la fede che mi tiene ancora in piedi è lo scheletro».

Certo, ciascuno di noi ha il proprio dio che, con il suo «stetoscopio», si occupa del nostro cuore: dal personal jesus dei Depeche Mode al dio a modo mio di Lucio Dalla. Quello pregato da Marracash, come spesso capita nel rap, è la musica stessa, il «punto fermo» che lo ha salvato, rianimato, trasfigurato: «musica, tu allevi e mantieni l’anima intatta / di’ la parola che sveglia il golem, dai un cuore all’uomo di latta / fa’ del palco la mia chiesa, dei testi il mio testamento / tieni la mia mano ferma se e quando verrà il momento / e dammi voce in eterno e cose vere da dire».

Quello che a me pare decisivo, però, è la relazione che Marracash individua tra il «qualcosa in cui credere», l’io profondo, trasfigurato che crede e il vivere avendo «qualcosa per cui morire».

In un modo anche qui non immediatamente comprensibile, ma complesso e sempre provocatorio, il nostro rapper afferma che «se non hai niente in cui credere / non avrai niente che puoi perdere, sì, tranne te». Possiamo, quindi, anche decidere di non credere a niente, di vivere di «incertezze», ma prima o poi comprenderemo che non è vero che non ci sarà niente da perdere, perché in realtà avremo perso, sarà andata in «cenere», forse morta per sempre, la cosa più importante: noi stessi.

Ugualmente Pietro si sente dire da Gesù, dopo essere stato dal lui apostrofato come Satana (per aver provato a rimuovere l’eventualità della croce – Mc 8,31-33): «Se qualcuno vuol venire dietro di me (…) prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà» (Mc 8,34-36).

Per sei lunghi giorni, prima dell’esperienza della trasfigurazione, il successore di Gesù alla guida della comunità mediterà queste parole, volte a metterci in contatto con la parte profonda del nostro essere. Quella parte di noi che ormai, nell’esperienza di Marracash, non vuole più cascare nelle «bugie» del «mondo» (della rete, della tv, del potere o della strada); che, magari, non sa più (o ancora) «a cosa credere», ma la cui «alba» è rappresentata dalla ferma convinzione che «c’è troppa poca fede rimasta» e che è necessario, appunto, qualcosa in cui credere.

Sembra proprio, allora, che il titolo del brano evochi una frase famosa, pronunciata durante una pausa della partita a scacchi con la morte dal protagonista del film Il settimo sigillo (al cui regista – Ingmar Bergman – Marracash si è ispirato per il titolo e la copertina dell’album Persona): «il silenzio del crepuscolo, il profumo delle fragole, la ciotola del latte, i vostri volti su cui discende la sera, Michael che dorme sul carro, Jof e la sua lira… Cercherò di ricordarmi quello che abbiamo detto e porterò con me questo ricordo delicatamente come se fosse una coppa di latte appena munto che non si può versare. E sarà per me un conforto. Qualcosa in cui credere» (qui, 3:50).

Come per Pietro, solo l’incontro con la morte – in qualsiasi modo la si intenda – è il crocevia che ci trasforma, ci trasfigura, facendoci trovare veramente ciò in cui vale la pena credere, ciò per cui vale la pena vivere – anche se piccolo, anche se discreto. Perché, come giustamente scriveva Enzo Bianchi, «solo chi ha un motivo per cui morire, ha anche motivazioni per vivere».

 

Una risposta a “Qualcosa in cui credere”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Forse di risposte ve n’è più di una per l’uomo alla ricerca di un senso da dare alla sua vita, magari si percorrono diverse vie trovando poi a essere in vicoli ciechi. forse l’unica è quella di volgere l’attenzione a un prossimo, ogni ha in se una luce tutta da scoprire., per cui morire? No, per scoprire di se, il bisogno di amare, perché senza amore significa essere in una strada inutile da percorrere, ogni entusiasmo ha vita breve, illusioni effimere, che non lasciano se non il vuoto, e questo non si riempie se non dando di se qualcosa, la parte migliore, quello che detta il cuore. .E’ una via che riserva sorprese, anche sacrificio di se, ma è vita.fa incontrare Dio. Pietro ha avuto paura quando ha negato di conoscere Gesù, di fronte al potere di chi può uccidere, succede questo oggi, si fa anche guerra per paura. Ma Cristo Se Cristo conosceva il suo cuore e sapeva diquanto questo fosse capace !Una Fede grande fa l’uomo adatto al suo regno

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