Magnificat, sulla montagna

La rilettura di Rilke del grande inno mariano: «E mi ha trovato, pensa! E per mio amore, ha dato ordini da astro a astro»
18 Dicembre 2015

Saliva la pendice, già pesante, quasi senza

più credere a speranza, a conforto o consiglio;

pure, quando le venne incontro grave

e severa l’altra matrona incinta,

 

cui mai non s’era confidata e tutto

sapeva, a un tratto in lei trovò la pace;

caute rimasero la donne incinte

finché disse la giovane: – cara, in me mi sento

 

come se d’ora in poi fossi per sempre.

Dio pròdiga alla vanità dei ricchi

il luccichio dell’oro quasi senza guardarli;

ma con gran cura sceglie un’umile fanciulla

per colmarla del suo più lontano avvenire.

 

E mi ha trovato, pensa! E per mio amore,

ha dato ordini da astro a astro-.

 

Magnifica ed esalta, anima mia,

alto nei cieli fin che puoi: il Signore.

(Rainer Maria Rilke, Magnificat, in Nuove poesie, traduzione di Andreina Lavagetto)

Immaginiamo la scena, così come la racconta Rilke: una giovane ragazza, Maria, che sale la collina, o la “montagna”, come dice il Vangelo, appesantita dalla gravidanza, affaticata e senza speranza. Perché Maria era senza «speranza», «conforto» o «consiglio»? Il testo non dà risposta, ma possiamo immaginare, soprattutto se si guarda al racconto di Matteo: una ragazza incinta senza intervento umano, un uomo che vuole ripudiarla nel segreto. Chi mai poteva credere a una gravidanza d’origine divina? A chi chiedere consiglio? Ed ecco un segno, ulteriore, dopo quello dell’Annunciazione: la cugina, «matrona», già sa, già conosce. Non c’è necessità di spiegazioni confuse: Elisabetta «tutto sapeva». E all’inquietudine si sostituisce la pace, che nasce dalla coscienza di essere nella volontà di Dio, dentro un disegno incomprensibile e grande, ma che Qualcuno ha tessuto.

Qualcuno che è un Dio che guarda al povero: «sceglie un’umile fanciulla / per colmarla del suo più lontano avvenire». Un Dio che va in cerca dell’amata con «gran cura».

Tutto è così piccolo in Maria: non vi è nulla che abbia l’evidenza efficace del successo, della potenza, della prima fila. C’è una ragazza che va a trovare una cugina in gravidanza. Lì, nell’insignificanza del quotidiano, interviene Dio e due piccoli esseri, protetti dal ventre delle proprie madri, reclamano il loro esserci, tanto che il piccolo profeta sussulta nel grembo perché riconosce il Verbo incarnato.

Il poeta ci parla di un Dio che cerca l’uomo fino a quando lo trova, e che per lui dà ordini «da astro a astro». Di un Dio che non si cura della vanità dei ricchi, per cui nulla vale «il luccichio dell’oro».

Un Dio che, per rimanere fedele a se stesso, non ha che un cammino da compiere: rileggiamo i primi due versi di Rilke… potrebbero benissimo descrivere l’ascesa al Calvario della Madre. Nell’inizio è già inscritta la fine, nel suo passaggio doloroso, ma anche nel suo insperato epilogo di luce. Da quella gravidanza nascerà Colui che dà salvezza. Dalla salita al Calvario, per la gloria della Resurrezione, la salvezza si compirà.

E colei che ha creduto, e per questo è beata, d’ora in poi sarà «per sempre».

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