La festa di Paradiso

Le feste dell'Ascensione, della Pentecoste e della Trinità nei versi di Dante, per pregustare la festa finale del Regno di Dio
26 Maggio 2021

Nella liturgia della Chiesa il passaggio dal Tempo Pasquale a quello Ordinario è scandito da Solennità che occupano le tre domeniche di questa fine di maggio: l’Ascensione con la salita di Cristo al cielo col corpo risorto, la Pentecoste con la discesa dello Spirito e la Trinità. Tre misteri che noi cristiani viviamo nell’arco di tre settimane, ma che Dante sembra racchiudere nello spazio di una manciata di versi.

Il canto XIV del Paradiso si svolge tra due cieli, quello del Sole con gli Spiriti Sapienti e quello di Marte con gli Spiriti Combattenti per la fede: fra questi vi è il discorso teologico della gloria della resurrezione della carne. Il dubbio di Dante è se la luce che avvolge le anime dei beati rimarrà sempre tale anche quando «sarete visibili rifatti» (v. 17), cioè quando dopo il Giudizio riprenderanno il corpo. Prima di rispondere al dubbio le anime acclamano alla Trinità con versi che, scrive il Poeta, sarebbero una giusta ricompensa a qualsiasi merito dell’uomo:

«Quell’uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive,
tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
ch’ad ogne merto saria giusto muno» (vv. 28-33)

La voce di Salomone che si accinge a rispondere è descritta poi da Dante come «voce modesta, forse qual fu da l’angelo a Maria» (vv. 35-36): il riferimento all’Annunciazione per il moderno cristiano è esemplare, dato che al centro esatto di queste tre settimane, lunedì 24, celebriamo proprio la memoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa.

Salomone risponde a Dante che quanto a lungo durerà la beatitudine, «quanto fia lunga la festa di paradiso, tanto il nostro amore si raggerà dintorno cotal vesta» (vv. 37-39), altrettanto l’amore che arde nei santi irradierà questa luce; e l’anima aggiunge che quando saremo rivestiti con «la carne gloriosa e santa» la nostra persona sarà ancora più grata «per esser tutta quanta» (vv. 43-45) e per questo la luce accrescerà ancora di più. La descrizione dei corpi gloriosi sorprende dato che il termine di paragone che Dante usa è il carbone:

«Ma sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende;
così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia» (vv. 52-57)

Come il carbone acceso produce la fiamma e allo stesso tempo la supera per il suo ardore, tanto che non è sopraffatta dalla luce, così lo splendore dei beati sarà meno intenso di quella stessa carne che ora la terra ricopre: in sostanza, il nostro corpo che ora è sottoterra, quando sarà glorioso sarà ancora più splendente della luce.

Dopo l’acclamazione alla Trinità, dopo aver descritto i corpi gloriosi nello splendore del cielo, le anime dei beati compiono una specie di danza e alle anime di questo cielo si aggiungono quelle del cielo seguente:

«Parvemi lì novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l’altre due circunferenze» (vv. 73-75)

Alle due ghirlande dei beati Sapienti si aggiunge un terzo giro di anime Combattenti per la fede: alla sapienza della fede vi si affianca la testimonianza, allo stesso modo in cui dopo Cristo viene il Paraclito e per questo Dante di fronte a tale visione acclama «Oh vero sfavillar del Santo Spiro!» (v. 76). Dante descrive qui la danza dei beati esattamente come descriverà la Trinità alla fine del Paradiso, come «tre giri» dei quali due sono riflessi e «‘l terzo parea foco» (Pd XXXIII 116-119). L’entrata in scena del terzo giro ricompone quella Trinità che all’inizio i beati cantavano come «quell’uno e due e tre che sempre vive e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno».

Qui avviene una sorta di Pentecoste, una discesa dello Spirito raffigurato dai beati stessi, dalla Chiesa celeste, quasi come gli spiriti volessero mostrare a Dante, rappresentante della Chiesa in terra e quindi a noi suoi lettori, come dall’unione della sapienza, donata da Dio, insieme con la testimonianza della fede, supportata dallo Spirito, l’uomo possa partecipare a quella «festa di Paradiso» che attende il corpo glorioso, come Cristo che ascendendo ci precede in Cielo.

In soli cinquanta versi Dante ripropone questo cammino, dall’Ascensione alla Trinità passando per la Pentecoste, facendoci pregustare la gioia di questa festa.

 

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