In questa domenica la Parola ci parla di un banchetto di nozze. C’è un re che invita a una festa per il matrimonio del figlio. Insiste quel re, perché vuole che gli invitati arrivino, perché vuole fare festa con loro. Manda inviti, manda messaggeri… ma gli invitati non vogliono andare, perfino uccidono quei servi.
E allora, dopo aver punito gli assassini, tocca agli altri, «buoni e cattivi» dice il Vangelo: non importa in che condizione sei, importa che accetti l’invito. Importa che siedi alla mensa, che prendi parte alla festa. E cosa rappresenta quell’uomo senza abito nuziale se non uno che alla festa voleva partecipare, ma non fino in fondo? Partecipare a metà… o ancora meno.
È una parabola cruda, per certi versi, quella di Matteo. Ma è anche una parabola che dà speranza: c’è un invito per tutti, ed è un invito a una festa. Lo dimentichiamo troppo spesso, consumati dietro alle nostre ‘imprescindibili’ attività, persi dietro ai nostri ‘principi prima di tutto’, ansiosi di salvare le nostre piccole verità scambiate per assolute nella difesa della ‘fede di sempre’ (che generalmente ha la nostra età), attenti ai dibattiti pugnaci più che alla riflessione e alla preghiera: mettiamo spesso in ombra che il cristianesimo è una festa e che a quella festa siamo invitati gratuitamente: buoni e cattivi. C’è una gioia che è data per noi, ci sono una danza e un cibo abbondante che sono preparati per noi, che noi troppe volte preferiamo rifiutare. Perché un Dio che fa festa, che ci invita senza chiederci se siamo buoni o cattivi ci spiazza, scardinando il nostro modo di ragionare. Il nostro Dio è un Padre che organizza una festa e ci vuole tutti seduti lì, a celebrare la gioia fino in fondo. Anche quando le nostre giornate conoscono l’angoscia e il dolore: l’invito è comunque a una festa.
Sono riflessioni che mi hanno fatto ricordare Galline, una poesia di Pascoli che tratteggia l’autunno: quel tempo che può essere di ‘morte’, di ‘fine’, o almeno di malinconia, per il poeta diventa invece occasione di gioia.
Galline
Al cader delle foglie, alla massaia
non piange il vecchio cor, come a noi grami :
ché d’arguti galletti ha piena l’aia;
e spessi nella pace del mattino
delle utili galline ode i richiami:
zeppo, il granaio; il vin canta nel tino.
Cantano a sera intorno a lei stornelli
le fiorenti ragazze occhi pensosi,
mentre il granturco sfogliano, e i monelli
ruzzano nei cartocci strepitosi.
Il testo, tratto da Myricae, ci fa prendere parte alla serena letizia della «massaia»: la donna non condivide la tristezza dei «grami», poiché trova dei motivi di gioia: i galletti nell’aia, le galline che chiocciano, il granaio colmo del raccolto, il vino che fermenta dopo la vendemmia. Là dove sembra tutto fermo, perché la natura si avvia ad addormentarsi, la massaia scorge i segni della gioia, come le giovani donne che cantano e, soprattutto, i bambini che giocano sui cartocci delle pannocchie.
La vita può essere faticosa, può essere dura: ma possiamo sforzarci per vedere sempre qualche motivo di serenità, qualche segno di gioia e vita. Non significa essere illusi o superficiali, ma realisti: il Padre si impegna perché la festa ci veda coinvolti.
Il cristianesimo è una festa, anche quando facciamo fatica a scorgerla o non riusciamo a viverla. Ma l’invito a nozze rimane, sempre aperto.
Forse dovremmo sentirci più degni di fare festa tra noi, e con il Padre che manda a cercarci…
Canti dalla dittatura
Ah, questo oscuro tempo del nostro svanire
in plumbeo cielo grande fratello,
il lucignolo acceso ancora nel lungo inverno
celato miracolo di uno che non può
morire.
Seme nascosto di tormentato crogiuolo
e scava, scava, tra polvere nuda
cercando sincera fonte acqua sorgiva
donde traboccano le povertà.
Non moriremo nemmeno da morti, ebeti pupi
vedremo tra macerie di tristi stagioni
una invincibile presenza.
Si la poesia fa da contro canto alla promessa di Dio: la massaia ha curato il suo pollaio,il suo orto,mi ricorda mia nonna, ma ha anche superato fatiche,delusioni perché anche i polli sono soggetti a malattia,e la tempesta rovina il raccolto.Se il Re della Parola getta fuori dal banchetto l’inviato senza abito di festa vuol dire che a far festa accedono soltanto quelli che si sono misurati con le difficoltà,hanno fatto sacrifici ma sempre hanno avuto fiducia,non si sono lasciati abbattere dai malanni, perché la massaia, ha messo a cova di nuovo le uova e gode dei galletti nell’aia. E Dio esiste perché premia già al di qua, quando uno subisce danno eppero confida si aggrappa al suo bastone vincastro di sicurezza, coglie di sorpresa il verificarsi di buone nuove che infondono fiducia,non un Dio che si fa pregare da sudditi umani, ma amico che ti offre un piatto pronto,profumato come ha fatto aspettando i suoi dalla spiaggia con fuoco acceso e pesce arrostito.