È un Dio degli ultimi, dei margini da recuperare, delle ferite da guarire, delle cicatrici da custodire, quello che Angelo Casati canta in E non avere occhi spenti (Magnano, Qiqajon, 2021, 221 pagine, € 15, introduzione di Chandra Livia Candiani): «Perdo pezzi / e tu li raccogli / alle spalle, Signore, / tu Dio dell’orfano e della vedova / tu Dio dei frammenti» (Perdo pezzi). È un Dio che si fa compagno di strade polverose, amico di asfalti urbani, viandante con i viandanti, narratore di sé nella scelta di farsi fratello: «E tu a raccontarmi del tuo viaggio / nella nostra carne» (E tu a raccontarmi).
È davvero un Dio degli umili e dello sguardo verso ciò che è povero e debole — a partire dall’io del poeta: «E sia grazia / essere amato / nella mia debole / incerta misura» (Temo maschere incisi ai volti) — quello che ritorna in versi delicati, finissimi, essenziali; così Angelo Casati raccoglie nel volumetto le sue meditazioni in poesia, testi composti lungo diversi anni, dal 2005 alla soglia della pubblicazione, condividendo con il lettore intuizioni e meditazioni che, in realtà, sono intense preghiere, lucide e commosse osservazioni del reale, dove un ciottolo che tiene aperta una porta, un albero, un lavatoio di montagna, un’icona vanno a destare nuove visioni e significati reconditi nell’animo dell’autore: «A me è dato / per grazia / carico d’anni / incantarmi» (Ancora incantarmi). È questa una delle funzioni più alte della poesia, e Angelo Casati si immerge in essa, con forza e con levità insieme, in testi di rara bellezza, tra i più belli che mi sia capitato ultimamente di leggere.
Sono poesie che sanno commuovere, modulandosi sulla gratitudine e sullo stupore; poesie che risvegliano sensibilità, amore alla vita, fede in Dio che è interlocutore tenero e misericordioso, «Dio delle infinite sorgenti» (Sosta ad ogni torrente), Padre e compagno, capace di suscitare «il brivido degli occhi» (La distanza) perché, nelle antiche parole che il Vangelo custodisce, Egli sa scaldare cuori e risollevare vite — esperienza a cui tutti aneliamo e che Angelo Casati sperimenta, per primo, su di sé: «Mi seduce il colore / della misericordia. / La tua risposta / nel vento / è promessa di scala dall’alto» (Come gradini di corda).
Non c’è un testo, tra quelli che intessono la raccolta, che non spinga alla sosta, alla riflessione, al silenzio: in versi densi, brevi, l’autore invita alla meditazione, compartecipando ciò che vede e sente e capisce, nei molteplici luoghi che gli hanno donato ispirazione, dal monastero di Bose a Concenedo di Barzio (Lc), dalla Romania all’Uzbekistan, fino a Milano (dove egli è stato parroco per molti anni), città amata soprattutto nelle mattine estive che «profumano di silenzio» (Verde compassione). Ma soprattutto Casati è uomo che sa farsi scuotere e sa scuotere, oltre le superficialità: «Non amo le strade / senza tornanti / autostrade / di pallide ovvietà» (Non amo).
Allora si capisce il perché del titolo: è auspicio e preghiera, constatazione e dono, il «non avere occhi spenti», per penetrare la vita, scorgere i segni del passaggio di Dio insieme alla tracce dell’umanità in cammino: «Attraversare cinquant’anni / e non avere occhi spenti? / E che sia questo il vangelo? / Il silenzio di pochi / in una chiesa, / il brulicare di voci / in una pizzeria? / Confusi, senza distanze? / Usciamo, / il marciapiedi dei saluti, / i passi nella notte, / le strade, / il regno di Dio, / la nostra città» (Mescola sacra).