Cosa ricordare di questo 2010, a parte il tormentone Waka-Waka? Nel frenetico “sovrapponi” dei file di questi dodici mesi ci sarà qualcosa per cui valga la pena dirsi “salva con nome”?
Già, la memoria collettiva si fa più sempre labile, gli eventi si disperdono nel vento come la cenere del vulcano islandese, protagonista a sorpresa del mese di aprile. Anche le riviste patinate ormai rinunciano all’inserto dicembrino con “fatti e immagini da non dimenticare” e nel palinsesto televisivo si perde l’atteso “un anno di sport”.
A contrastare questa rimozione collettiva arriva propizia la sera di San Silvestro, riepilogo di “un anno di fede”: nella Messa o nelle veglie il tradizionale Te Deum suggerisce un esercizio di memoria, valorizzato da molti vescovi e qualche buon parroco. Nelle loro omelie scrutano le ombre dell’anno trascorso, segnalano le luci (la ripresa vocazionale o un collettivo gesto di carità…), ispirano “mea culpa” e richieste di perdono, alimentando concreta speranza invece di catastrofismi virtuali.
Ma rivisitare insieme l’anno vecchio può essere un’operazione pedagogica anche tra genitori e figli. Lo testimonia l’esperienza di gruppi-famiglia o famiglie di amici che riescono a vivere insieme il tardo pomeriggio del 31 dicembre ritagliandosi anche uno spazio alternativo di preghiera. A partire proprio dal “fare memoria” degli eventi ricevuti in dono, tempo di grazia spalmato sui dodici mesi. Per esempio, una novità in parrocchia, l’ amico ritrovato, un incontro toccante, quell’allarme poi rientrato…
Da gennaio a dicembre i genitori mettono l’evidenziatore sulle giornate altrimenti già dimenticate, accostando la lettura del famoso brano del Qoelet (“C’è un tempo per ogni cosa…”) al calendario appeso sul frigo e “personalizzato” sugli eventi più significativi. I grandi li rileggono, li narrano, lasciando pause di silenzio davanti alle candeline spente; ci pensano poi i ragazzi più piccoli ad accenderle con i ricordi delle vacanze estive e capita che il preadolescente arrivi a concludere che l’anno non è stato poi così… sfortunato.
Affiorano alla moviola della fede anche i dettagli delle giornate-no, ma insieme sarà più facile riconoscervi i contorni provvidenziali: “Niente va perduto, tutto è grazia” può essere la conclusione di questo Te Deum che le famiglie in casa o in trasferta (anche tanti gruppi giovanili lo vivono così) proseguono festosamente tra le lenticchie e un bel gioco da tavola. Fino al brindisi, con le bollicine della nostra gratitudine.