Serve un linguaggio che parli anche ai cuori

Qualche altra parola sulla presentazione tenuta da Vino Nuovo a Roma e sul bisogno nella Chiesa di reimparare a dialogare con un linguaggio semplice, ma incarnato
3 Giugno 2013

L’incontro che si è svolto a Roma il 29 maggio, nella sede di Radio Vaticana, è stato l’occasione per riflettere sulla necessità di un maggiore dialogo all’interno della Chiesa e su come Papa Francesco abbia aperto, in questo senso, prospettive nuove.

Scopo dell’incontro era la presentazione dei due volumi nati da questo blog: “Un Dio inutile”, di Giberto Borghi e “Vino Nuovo. Voci dal blog che fa discutere i cattolici italiani”, curato da Giorgio Bernardelli. Già, perché questo spazio virtuale è nato, come ha ricordato Fabio Colagrande, per «vincere l’afasia dell’opinione pubblica nella Chiesa». Voleva essere «un posto dove provare a ragionare insieme senza pregiudizi, senza scandalizzarsi se due cattolici esprimono idee diverse, quando entrambe nascono dalla voglia di testimoniare il Vangelo. Anzi, voleva essere proprio un luogo dove verificare che il confronto tra idee diverse non disorienta, come spesso si crede, piuttosto aiuta a porsi domande, a leggere i segni dei tempi».

La discussione è un valore se è strumento di ricerca della verità, altrimenti diventa fine a se stessa e si esaurisce nel compiacimento delle proprie capacità dialettiche. Come evitare questo pericolo? In due modi, secondo Padre Francesco Occhetta, scrittore della “Civiltà Cattolica” e consulente dell’Ucsi. Il primo è ricordare che «l’incipit deve essere la declinazione dei principi della dottrina sociale della Chiesa, che chiedono di essere incarnati nella storia». Il secondo è «capire come i principi costituzionali possano essere declinati nello spazio pubblico e nell’essere Chiesa, una Chiesa che vive un contesto preciso, quello italiano». Dottrina sociale della Chiesa e Costituzione sono dunque due punti di riferimenti fondanti, che richiedono di coniugare vita secondo il Vangelo e laicità.

Un altro motivo per cui il dialogo oggi è difficile, è legato alla immensa mole di informazione che ognuno di noi si vede proporre, ogni giorno, da ogni dove. Distinguere le voci, ascoltarle, elaborare risposte è diventato sempre più difficile, quasi impossibile, proprio per il troppo “rumore” che ci sommerge. Succede nella vita reale, ma ancora di più nel web. Per questo, secondo Jesus Colina, direttore di Aleteia, occorre fare un passo avanti, superando la dimensione del web 2.0, ormai satura, e raggiungendo quella del web 3.0, cioè del «web semantico, un web dove c’è un’authorship, una scelta di autori di alto livello e umiltà», che propongono con semplicità contenuti meditati e che, aggiungerei, ci mettono la faccia, cioè si assumono la responsabilità di quello che dicono e delle scelte che fanno. Secondo Colina, vinonuovo.it è già su questa strada, perché fornito di alcuni “metadati” che possono potenziarne la qualità: «il primo è che quelli che scrivono sono cattolici che seguono Gesù, la sua Chiesa e il suo percorso nel mondo; il secondo è la fraternità: stanno creando un luogo di incontro in cui si può restare uniti anche se non si è d’accordo; il terzo è il rapporto tra ragione e fede, vissuto da laici cristiani disposti a mettersi in gioco ogni giorno; il quarto è la costruzione di un discorso che evita le contrapposizioni».

Un dialogo è fatto di persone, di luoghi, di parole e le difficoltà che incontra nel suo svolgersi non sono molto diverse se il luogo è virtuale o reale: in ogni caso c’è una frontiera da abbattere per permettere l’incontro tra le persone. La frontiera che Gilberto Borghi vive in quanto insegnante di religione, è sicuramente una delle più difficili e forse anche abbandonate: «ogni giorno incontro persone che nella Chiesa nessun altro incontra», ha spiegato. «Ma quando si ha il coraggio di far diventare la classe un luogo in cui i ragazzi possano davvero esprimere quello che sentono, rispetto al mondo adulto e alla Chiesa, allora si scopre che hanno una fede nascosta, ma estremamente selvaggia e sorgiva, più bella di quella di molti cattolici che frequentano assiduamente. Questo mi ha fatto crescere tantissimo, per cui posso dire che il valore del dialogo sta nel fatto che sono io a imparare modi di leggere e vivere la fede che nascono dalla vita, dalla pelle, dal cuore, dal sangue di questi ragazzi.»

Una Chiesa arricchita dal dialogo al proprio interno sarà più capace di arricchirsi anche attraverso il dialogo con chi così interno non è, ma non è neanche estraneo, lontano, indifferente come a volte si pensa. Vania De Luca, vaticanista di Rainews e presidente dell’Ucsi Lazio, sostiene che oggi «le categorie del dentro e del fuori, del vicino e del lontano sono più sfumate che in passato, anche grazie ad una comunicazione sempre più orizzontale, un po’ per la diffusione dei social network, un po’ perché viviamo una cultura in cui tutti vogliono prendere la parola… È un fatto che oggi la Chiesa stessa, anche grazie a questo Papa, restituisce un’immagine di se stessa più orizzontale, meno verticistica e gerarchica di come si era rappresentata negli ultimi anni. E in fondo non è altro che la Chiesa-popolo disegnata dal Concilio, dove un pastore si pone non solo come guida del gregge, ma come figura che sta in mezzo al gregge, e prende l’odore delle sue pecore. L’immagine del recinto – che separa chi è dentro e chi è fuori – è superata, così come il concetto di “vicino” e “lontano”. In una parrocchia della periferia romana il Papa – che viene dalla periferia del mondo – ha detto che la realtà si legge meglio da lì che dal centro. In fondo la Chiesa è cattolica, cioè universale, quindi non ha più un centro: ogni luogo lo è potenzialmente.»

Una Chiesa che fa del dialogo il proprio metodo per rapportarsi al mondo deve parlare a tutti, e quindi ha bisogno di un linguaggio efficace, che raggiunga sia la mente che il cuore. Come quello di papa Francesco, che comunica non solo con le parole, ma con i gesti, i segni, gli abbracci e che con il suo modo di essere ha lanciato una sfida. Per dirla con le parole di Padre Occhetta: «Le cose che dice sono spremute di senso che nascono dalla parola di Dio e dall’esperienza umana. Ma sulla base di un magistero che ha posizioni precise e di una tradizione di cui è consapevole e che declina all’oggi. Tutto questo ha liberato una grande energia e la gente, soprattutto quella umile lo ascolta.»

Il Papa è un grande comunicatore grazie alla sua semplicità, quella stessa semplicità che caratterizza i Vangeli, al cui linguaggio è oggi necessario tornare. Spiega Borghi che «questo papa ha spostato un linguaggio da un baricentro alto, nella testa, a uno più basso, nel cuore e anche nella pancia. E questa è una cosa che i miei studenti hanno nelle vene. Per dialogare nella Chiesa occorre trovare un linguaggio comune, e per trovarlo bisogna smetterla di lavorare solo sulle idee. Non perché non servano, ma perché prima bisogna lavorare per le persone, per le singole persone che mi trovo davanti. Il cristianesimo ha vissuto un deficit di incarnazione e quindi deve recuperare la dimensione corporea ed emozionale all’interno della vita di fede. Quando smetto di usare il testo, e leggo il Vangelo in classe, mi accorgo che arriva: suscita reazioni.»

 

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