«Quel posto è mio!»: Sheldon Cooper in parrocchia

Nella serie “The Big Bang Theory” uno dei protagonisti, Sheldon Cooper, occupa sempre un proprio posto fisso sul divano di casa, e nessuno può sedersi lì: che sia anche una tendenza nelle nostre parrocchie?
17 Settembre 2021

Chi ha avuto modo di vedere la fortunata e divertente serie televisiva statunitense The Big Bang Theory, sa che uno dei protagonisti, Sheldon Cooper, ha una speciale predilezione per un particolare posto sul divano di casa, posto che egli ritiene sempre e comunque di sua esclusiva pertinenza, anche in presenza di ospiti esterni, i quali devono accomodarsi altrove. Quando capita che qualcuno si sieda al suo posto, ecco che Sheldon fa alzare con modi più o meno gentili il malcapitato. I suoi amici, che gli vogliono bene, conoscono questa sua mania, per cui lo assecondano, anche un po’ prendendolo in giro, come assecondano altre sue stranezze. Ma il grido “quel posto è mio” torna, regolarmente, nello svolgersi delle puntate.

Pensando alle nostre parrocchie, temo che talvolta conoscano la ‘sindrome Sheldon Cooper’, ossia una certa tendenza a considerare ‘propri’ posti e mansioni, incarichi e responsabilità, con scarsa attenzione verso gli altri membri della comunità. Accade non di rado che le persone si siano prestate per un servizio anni prima e che poi, pur passando il tempo, quel servizio sia diventato un piccolo dominio, o un piccolo feudo, da difendere con determinazione, spesso accampando motivazioni anche legittime, seppur un poco falsate. Una fra tutte è quella dell’assenza: «Dove sono gli altri? Se non ci fossi io, nessuno farebbe questo servizio», dimenticando che forse è proprio perché quel posto è occupato dalla creazione del mondo che gli altri non si fanno avanti, o si sentono (implicitamente o esplicitamente) esclusi. Così accade anche che poi ci si senta investiti di ‘sacre missioni’: «nessuno fa quel compito come lo faccio io», andando in tal modo a sostituire noi stessi allo Spirito che certo dona i talenti e i carismi, ma non a una persone sola, Spirito che talvolta tendiamo a consigliare con una certe energia, invece che farci consigliare. E ancora, quando la ‘difesa del posto’ diviene cristallizzazione di piccole posizioni di potere, o necessari mezzi per sentire di avere una propria identità (la catechista, il sacrestano, la cuoca, il cerimoniere, il barista, la signora dei fiori, il responsabile della comunicazione, etc…), accadono poi conseguenze spiacevolissime e dolorose: infatti, le situazioni si infettano, si attorcigliano e poi solo con molta pazienza e cura delle ferite si potrà tornare a un clima di equilibrio, collaborazione e serenità. Quanto è, invece, più sano e umano saper fare un passo indietro, dare spazio anche ad altri, lavorare insieme, camminare insieme (leggi anche: vivere in modo sinodale) a partire dalle nostre comunità, senza timori di perdere il nostro posto sul divano. Si può pensare, allora, che tutti gli incarichi siano a tempo, come accade anche nei consigli pastorali? Ogni comunità sa discernere cosa sia meglio per sé. Ma non dimentichiamo che anche nella chiesa, a 75 anni, parroci e vescovi ‘vanno in pensione’. Nessuno è eterno nelle posizioni che ha, nei ruoli che ricopre, ed è bene pensare per tempo a passare il testimone, davvero valorizzando i doni delle persone, così come sarebbe bene correre il rischio di lasciare un posto vuoto piuttosto che impedire ad altri di occuparlo.

Insomma, il divano di Sheldon Cooper può essere una delle nostre parrocchie. Ma anche il buon Sheldon, in fondo, capirà che fare spazio ad altri nella propria vita è sì faticoso, ma arricchente. Forse anche noi dobbiamo imparare a riconoscere prima e vincere poi la sindrome Sheldon Cooper.

3 risposte a “«Quel posto è mio!»: Sheldon Cooper in parrocchia”

  1. Dario Busolini ha detto:

    Può sembrare strano ma, da una parte, per il fedele quella funzione anche piccola che svolge in parrocchia (come in movimenti e associazioni) finisce col diventare una gratificazione che in qualche modo va a compensare tante altre non gratificazioni che si ricevono nella vita familiare o professionale e quindi risulta molto difficile farne a meno, dall’altra per il pastore il fatto che uno faccia qualche cosa rappresenta un problema in meno di cui doversi occupare tra i tanti quotidiani mentre dover cambiare una persona, anche nei rari casi in cui vi siano nuovi candidati, è sempre un problema in più. Tutto questo, ovviamente, rappresenta un grande freno a qualsiasi cambiamento e spiega perché, nonostante tanti buoni propositi, alla fine tutto viene fatto allo stesso modo dalle stesse persone. Sì, forse è giusto introdurre una durata massima delle funzioni che si svolgono come mi pare il papa stia cercando di fare.

  2. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Si,accade che vi siano fedeli che ritengano avere diritto in un ruolo svolto nella comunità con una certa anche protervia, senza tener conto di altre persone le quali si offrono con medesimo desiderio; non considerano una alternanza che è giustificata un per un servizio reso alla comunità di cui si fa parte. In tempo di Coronavirus si è verificato un vuoto, giustificato a evitare il contagio, per questo le messe in streaming, o vuote di fedeli. Ma anche la presenza di chi ha assicurato presenza , per onorare quella Persona cui va la nostra preghiera e anche una celebrazione dove i banchi sono stati semi vuoti, il rito smorzato di voci. Oggi grazie ai vaccini tutto sembra aprirsi a normalità, ma sarebbe bene tener conto di quanto nel frattempo il Santo Padre ha disposto, a promozione di una celebrazione che trovi maggiore eco nel cuore e sentimenti dei fedeli, a rendere una Messa occasione di incontro con il Maestro Signore della Storia, rendere grazie al Padre di tutti

  3. Paola Buscicchio ha detto:

    È lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri.
    ( Ef. 4,11)
    Basterebbe questo passo per mettere al loro posto coloro che vogliono emergere nelle comunità.
    A ciascuno è dato uno specifico mandato per contribuire al bene della Chiesa.

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