L’ultimo dei padri conciliari

In memoria dell'ultimo testimone del Concilio, mons. Luigi Bettazzi, partito per il viaggio verso Dio a quasi cento anni...
17 Luglio 2023

Con la morte di monsignor Luigi Bettazzi domenica prima dell’alba a 99 anni (ne avrebbe compiti 100 anni il 26 novembre) si chiude un’epoca che rimarrà nella storia della chiesa e in quella del mondo.

Singolare la sua morte serena nel giorno in cui si celebra la pasqua. Un segno.

Bettazzi è stato l’ultimo testimone diretto di quella grande stagione di rinnovamento e aggiornamento della Chiesa universale. E il Concilio che mons. Bettazzi visse da giovanissimo vescovo a 40 anni, sarebbe stato il centro della sua azione pastorale di ricordo, memoria e profezia per il resto della sua esistenza.

Bettazzi è stato un uomo disponibile e aperto al dialogo. Ma anche un teologo e uno studioso della Bibbia e della Sacra Scrittura. Si documentava e leggeva e sempre cercava di comprendere i sentieri imperscrutabili dell’animo umano, nella modernità e nell’età delle certezze fragili.

Vescovo rosso, troppo timido con i laici e gli atei, accusato di trasformare il vangelo in lotta politica. Niente di tutto questo. Se si va ad indagare la sua vita e i suoi scritti, la sua coerenza cristiana.

Bettazzi era un uomo garbato anche quando, per esempio sull’obiezione fiscale alle spese militari, assumeva posizioni scomode, di rottura. Ma era capace di obbedire e con l’ironia e la certezza che sta in alto e in Dio la strada maestra, restare qualche volta in silenzio, senza però mai abdicare alla sua coraggiosa volontà di prendere sul serio il vangelo.

Luigi Bettazzi era nato a Treviso il 26 novembre 1923 da una famiglia di origini piemontesi. Il padre è un popolare ma non può dichiararlo apertamente. Luigi con i genitori, i fratelli e le sorelle trascorre l’infanzia in Veneto, dove il padre lavora, e decide di entrare in seminario in tenera età. Con il trasferimento a Bologna, città di origine della madre, prosegue il suo cammino di preparazione al sacerdozio negli anni difficili della guerra, tra Bologna e Roma.

Il suo racconto della liberazione di Bologna resta una preziosa testimonianza.

Il 4 agosto 1946 è ordinato presbitero dal Cardinale Giovanni Battista Nasalli Rocca di Corneliano, arcivescovo metropolita di Bologna. Si laurea in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana e poi in filosofia presso l’Università degli Studi Alma Mater di Bologna.

Gli anni della formazione sono all’interno del movimento cattolico intellettuale, la Fuci e i Laureati cattolici, desiderosi di un rinnovamento e un rapporto diverso con il mondo, la cultura e il pensiero moderno.

Il 10 agosto 1963 la nomina a vescovo ausiliare di Bologna cui seguì il 4 ottobre la consacrazione episcopale. Una settimana prima però ci fu l’emozione del Concilio Vaticano II, di cui prese parte, accanto al cardinale Giacomo Lercaro, a tre sessioni, iniziando dalla seconda, il 29 settembre 1963. Concluse le assise conciliari, fu nominato vescovo di Ivrea, prendendo possesso della diocesi il 15 gennaio 1967.

Parallelamente al servizio nella Chiesa locale cresceva l’impegno per la causa della non violenza, fino ad essere nominato nel 1968 presidente di Pax Christi, vivendo in maniera così profonda quell’incarico da ricevere il premio internazionale dell’Unesco per l’educazione alla pace.

Il suo impegno per la riforma della Chiesa, per la pace e per il dialogo con il mondo (famoso il suo carteggio, tra il 1976 e il 1977, con Enrico Berlinguer) si comprende alla luce della Lumen Gentium e della Gaudium et spes. Bettazzi ha viaggiato in molti paesi, ha denunciato il mercato delle armi, ha difeso la vita con tutte le forze e ogni vita: dalla guerra, dalla violenza, dalle ingiustizie e dagli abusi, le oppressioni fisiche e psicologiche. Mai ha arretrato dalla sua visione cristiana.

  • La pace l’orizzonte e il compimento, il dialogo lo strumento per testimoniare la buona novella che affermava “Mi sembra legittimo e doveroso, per un vescovo, aprirsi al dialogo, interessandosi in qualche modo perché si realizzi la giustizia e cresca una più autentica solidarietà tra gli uomini.

Il “Vangelo”, che il vescovo è chiamato ad annunciare, non costituisce un’alternativa, tanto meno una contrapposizione alla «liberazione» dell’uomo, ma ne dovrebbe costituire l’ispirazione e l’anima.

Gesù stesso, quando si presentò ai suoi contemporanei, lo fece con le parole dell’antico profeta, affermando di essere “mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”.

La sua lezione resterà oggi che respira nella pace di Dio e in quell’incontro che ha costruito lungo cento anni.

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