Il sistema ecclesiale “pedofilo”

Affinché possa instaurarsi un sistema di questo tipo è necessario che, sia i delinquenti che i conniventi, condividano l’impostazione di base del rapporto tra fede, equilibrio personale e sessualità
15 Novembre 2021

Questa volta i vescovi francesi sono stati espliciti e “pesanti”. “Dobbiamo riconoscerlo e confessarlo: abbiamo lasciato svilupparsi un sistema ecclesiastico che, lungi dal portare la vita e aprire alla libertà, distrugge, schiaccia, schernisce esseri umani e i loro diritti più elementari. Siamo obbligati a constatare che la nostra Chiesa è un luogo di gravi crimini, di terribili attacchi alla vita e all’integrità di bambini e adulti”. Così l’arcivescovo di Reims, Éric de Moulins-Beaufort presidente dell’assemblea plenaria d’autunno della Conferenza episcopale francese, conclusasi da pochi giorni a Lourdes.

Parole esplicite e pesanti, sì. Per la prima volta in modo chiaro si parla di un “sistema ecclesiatico”. Non ci si trincera dietro alla metafora delle poche “mele marce”, ma si riconosce che il modo di vivere, di gestire, di comunicare, di relazionarsi all’interno della Chiesa (francese, in questo caso, ma forse anche oltre) ha permesso che negli ultimi 70 anni, 330.000 minorenni fossero oggetto di violenza e soprusi sessuali di sacerdoti e addetti a vari livelli e personale laico della chiesa. In altre parole si riconosce, forse per la prima volta in un documento ufficiale, “la responsabilità istituzionale della Chiesa”, nonché la “dimensione sistemica” di questi crimini.

Cosa significa? In primo luogo, indubbiamente, una connivenza silenziosa della Chiesa verso i delinquenti interni, riconosciuta dai vescovi francesi: “inconsapevolmente, eravamo complici, abbiamo permesso che si compissero atti indicibili, abbiamo passato il tempo a fare indagini, avviare procedimenti, tremare chiedendoci cosa potesse fare o no un prete, temere che qualcuno si mettesse a parlare ancora, ricevere vittime e scoprire nuove macchie sulla reputazione di tale sacerdote o tale laico che agisce nella Chiesa. Era nostro dovere chiarire che non potevamo sopportare che la Chiesa fosse così”.

Ma solo questo? Se ci fermassimo qui, temo che ancora una volta non riusciremmo a comprendere fino in fondo “come sia possibile che un prete (e aggiungo, un credente) possa fare queste cose e come ciò possa diventare “sistema” all’interno della Chiesa?” Già Benedetto XVI si poneva la prima parte della domanda agli albori dello scandalo, tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010. Nove anni più tardi, lo stesso papa emerito aveva tentato di rispondere con la crisi morale e spirituale derivante dalla rivoluzione culturale del ’68. Risposta assolutamente irricevibile, perché nel frattempo, i dati dello scandalo mostravano come la maggioranza dei delitti erano stati perpetrati ben prima del ’68. Ma soprattutto risposta che tende a lasciare inevasa la seconda parte della domanda, quella su come nasce un “sistema” delinquenziale nella Chiesa, che Benedetto nemmeno si poneva.

Papa Francesco, invece, aveva tentato di rispondere alla domanda tutta intera, individuando a più riprese la radice del problema nel “clericalismo”, quell’atteggiamento di superiorità che si arroga il potere all’interno della Chiesa, in nome del ruolo rivestito e che, purtroppo, si va diffondendo anche tra laici. Personalmente credo che questa risposta sia vera, ma ancora parziale. Certo che il clericalismo tende a diventare uno stile dell’essere credenti e perciò favorisce l’instaurasti di un “sistema”. Ma non sono convinto che basti questo a far si che il “sistema” sia delinquenziale e soprattutto a matrice sessuale.

Affinché possa istaurarsi un sistema di questo tipo è necessario che, sia i delinquenti che i conniventi, condividano l’impostazione di base del rapporto tra fede, equilibrio personale e sessualità. Questa inconsapevole connessione impedisce la presa di distanza di chi vuole denunciare, generando la sopportazione dell’idea che sia normale che nella Chiesa sia così, in nome del peccato originale, del demonio, della poca fede. Perciò il problema rimanda al modo con cui pensiamo l’essere umano sessuato, all’equilibrio antropologico che la fede richiede e alla conseguente forma di spiritualità che può sostenere la vita reale di chi si pensa così.

Pochi sanno che le prime condanne della pedofilia risalgono già al terzo secolo del cristianesimo. Ma sono fatte non in nome del valore della persona abusata, ma in nome della progressiva svalutazione della sessualità umana che in quel momento iniziava a prodursi dentro al Chiesa. Tanto che la pedofilia era valutata esattamente come l’omosessualità e come ogni pratica sessuale non volta alla procreazione, anche di quelle all’interno del matrimonio cristiano. Nello stesso periodo prende forma una spiritualità, mutuata dall’esperienze dei monaci del deserto, in cui il cammino verso la santità è possibile solo se, attraverso la volontà razionale, il credente tiene a bada i propri istinti.

Oggi, per mezzo degli studi antropologici, patristici e biblici sappiamo che tale impostazione trova le sue radici più profonde nello stoicismo e, successivamente, nel neoplatonismo, mentre è poco radicato nel vangelo. Ma l’autorità dei padri, e successivamente soprattutto di Agostino e Girolamo, ha fatto sì che tale impostazione divenisse dominante e sia giunta fino ai giorni nostri. Aggiungiamo poi che la “curva” razionalista della fede della fine dell’800, arrivata dritta fino al vaticano II, ha contribuito a mettere, ancora di più sotto giudizio gli istinti e le emozioni. Ma, guarda caso, è proprio questo il periodo in cui le violenze si sono maggiormente diffuse nella Chiesa, stando ai dati attuali.

Perciò, se si vuole davvero mettere le mani dentro al dramma della pedofilia nella Chiesa, dobbiamo riconoscere che c’è una antropologia che va cambiata, che deve recuperare il valore del corpo e della sessualità come luoghi di presenza di Dio per noi e in noi; che c’è una spiritualità che va riequilibrata, che deve recuperare la forza delle emozioni e dei sentimenti come bussole interiori verso la santità. Una vita sessuale vissuta come luogo di compensazione delle frustrazioni di altri livelli non è né umana, né cristiana; una vita spirituale in cui la ragione domini le emozioni e gli istinti non è né umana, né cristiana.

La via della santità non è lo sforzo volontaristico, ma l’apertura del cuore alla forza del’amore di Dio. Un sano equilibrio umano delle varie dimensioni antropologiche riconosce immediatamente quando una compensazione mette a rischio la propria stabilità e non la accetta, muovendosi per trovare una soluzione diversa. L’uscita vera dal “sistema” delinquenziale sessuale passa non solo per provvedimenti giuridici e organizzativi (comunque giusti), ma anche e soprattutto dalla ristrutturazione dei modelli antropologici e spirituali a cui facciamo riferimento.

11 risposte a “Il sistema ecclesiale “pedofilo””

  1. Luca Crippa ha detto:

    Grazie Gilberto per il tuo articolo, tanto informato e coraggioso (nel senso dell’onestà intellettuale), quanto appassionato (nel senso dell’amore per la Chiesa).
    Sollevare questi interrogativi è un servizio prezioso; affrontarli una vocazione per tutti.
    Aggiungerei “solo” una cosa: l’appello a rimetterci di fronte alla Parola (nel senso del sempre più attuale magistero del cardinale Martini)…

  2. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Riscontro il richiamo all’antropologia con uno alla gattologia.
    Axel, il gatto fulvo di mio figlio è castrato.
    Axel caccia. Ha cominciato dalle lucertole, quando le ha eliminate tutte è passato ai serpenti. Ora si dedica ai topi.
    Mi chiedo se qs è una valvola di sfogo.
    Lo so che è un felino ma..

    È lecito estendere?

  3. Pietro Rabitti ha detto:

    Grazie Gilberto, non credo ci sia da commentare ma da meditare; mi piacerebbe scambiare qualche chiacchiera con te. Intanto ti leggo, pacato e onesto; è bello sentirsi in sintonia, non tanto di idee astratte ma di esperienza di vita, come quella che avverto dentro le parole che dici

  4. Gian Piero Del Bono ha detto:

    Ma certo e’ tutto colpa del clericalismo… Se il prete capo della Caritas di Benevento viene preso nella retata dei fruitori di materiale pedopornografico raccapricciante ..trovato nel suo computer…la colpa non e’ sua, povera vittima del sistema, ma del clericalismo, del celibato dei preti, del vescovo di Benevento, dei tradizionalisti, ecc.ecc. Tutto meno che colpa sua…vietato parlare di mele marce anzi di porci….porci ecclesiastici anche se pro-migranti. Uno puo’ essere come Dr. Jekill e Mr. Hyde. Di giorno prete filantropo di notte fruitore di immagini pedopornografiche… Ma la colpa ovviamente e’ del clericalismo ! E che direi del pretino che faceva orge gay con droga dello stupro ! Povera stella, la colpa e’ del clericalismo, del sistema, dei rigidi-reazionari.

    • gilberto borghi ha detto:

      Gian Piero, io non ho mai detto che il singolo non ha resposabilità. Se lei me lo trova nel mio scritto le do ragione. È interessante che per lei sottolineare anche la responsabilità della Chiesa significhi negare quella del singolo. È solo questine di usare la logica della razionalità.

  5. Lodovico Veronese ha detto:

    Il problema del “Sistema ecclesiale” sono gli insabbiamenti, non gli abusi sessuali. Non possiamo fare confusione tra i due profili.
    Da “Affinché possa istaurarsi…” inizia una sequenza di affermazioni del tutto arbitrarie ed indimostrabili.
    Le ragioni degli abusi vanno ricercate nei singoli casi, nelle storie e nei crimini connessi (che di crimini stiamo parlando).
    E prima si tutelano le vittime, si fa giustizia… poi si fa una casistica, si tracciano i profili. Ma sulle carte… non sulle impressioni, così a naso.
    L’altra faccia della medaglia. Gli insabbiamenti.
    Qui il profilo “istituzionale” è direttamente coinvolto. Qui la Chiesa come istituzione deve fare penitenza. Qui bisogna fare verità “sul Sistema”.
    Non è con una seduta di psicanalisi (individuale o collettiva) o con la colpevolizzazione sistemica che il problema degli abusi conoscerà miglioramenti.

    • gilberto borghi ha detto:

      I numeri non sono impressioni a naso. Capisco che, forse, lei possa sentirsi scomodato da questi numeri e renderli una questione dei singoli la faccia sentire meno preoccupato. Io continuo a credere che questi numeri non possano essere liquidati come “qualche mela marcia”, come pure i vescovi francesi hanno dichiarato. Proprio questo suo modo di intenedere il problema, a mio avviso, fa parte del problema.

  6. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Ci sono però segni di speranza in quel convergere di pensiero da parte di scienziati, uomini di fede, presenza di popolo su ciò che è bene,male, verità che ha fatto aprire gli occhi di tutti sulla medesima realtà, e farsi attivi insieme fronte comune per salvare ciò che è bene comune. Il Covid induce a questa coscienza. . Tanto marcio lascia senza parola il cittadino comune, supposto esistesse tra credenti, forse tempo maturo a venire alla luce?coperto forse per non recare ombra alla Fede? Sfiduciare il semplice fedele? Cristo stesso sapeva quando ha avvertito che era meglio uno si mettesse una pietra al collo e sprofondasse piuttosto che compiere certo misfatto. Altra traduzione non sembra fosse possibile Il Vangelo si sofferma di più su ciò che è indirizzare la persona a ciò che è per il suo bene .Ma è anche vero che la libertà permette una scelta, La vigilanza raccomandata, una cura e protezione verso i deboli.

  7. BUTTIGLIONE PIETRO ha detto:

    Se ci fermassimo alla CC come Istituzione io farei FOCUS sulle parole di Barbarin:
    ” Ah! Quanti anni sono passati? Menomale che è andato in prescrizione!!”
    L’arcivescovo di Lione, come quello di Milano, è una bravissima persona, umile, dedita al servizio.. potrebbero essere presi ad esempio x tanti pieni di sé…
    Questa è la nostra Chiesa migliore.
    Educata au soldi??
    Colpa loro o del SISTEMA??

  8. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    La comunità di Taize ha organizzato un raduno di giovani provenienti da tutto il mondo e a Torino potranno visitare il Sacro Telo sindonico. C’è molto da imparare da quel Segno da quell’uomo che pur apparendo tale e ‘stato di natura divina, pur spogliato conserva invisibile una veste divina: la vita donata, la Parola vissuta, il Vangelo da consegnare e far conoscere ai posteri; per credere che tutto questo è verità , presente Egli stesso, in e per quanto in suo nome viene operato oggi. Fratellanza unità di vita che va oltre la vita terrena, un perdurare di vita eterna . Questo ha detto ” Non prego perché tu li tolga dal mondo ma che tu li cus todisca dal Maligno….e la gloria che tu hai dato a me Io l’ho data a loro perché siano una cosa sola..che li hai amati come hai amato me. Non prego solo per questi ma anche per quelli he crederanno in me mediante la loro parola.”” Solo questo conta credere, stare sulla sua Parola oggi per noi

  9. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    ..”perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, immane in me e io in lui”Come il Padre che ha la vita ha mandato m e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà er me”…molti dei suoi discepoli dopo averlo ascoltato, dissero:”questa parola è dura! Chi può ascoltarla?.”…da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro, e non andavano più con lui(Gv.6). Oggi se accade/è accaduto questo nella Chiesa, come allora sono pochi quelli che vivono e si cibano di quella carne sia clero che laici un mondo dove della carne materiale si fa macello. Nessuna meraviglia, per quello assistiamo a tanto rovinio è ancora cerchiamo bellezza negli scavi archeologici! “Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte” Le vesti sono importanti anche oggi, contano per apparire come si desidera sembrare, detta legge la moda, ispira ed è segno di fiducia o meno, una divisa

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