Un amore da riscoprire

Il paragrafo più attuale dell'Humanae Vitae è il 7,in cui si parla delle caratteristiche dell'amore coniugale: pienamente umano, atto di volontà, una forma di amicizia, basato sul dono, fedele. E anche fecondo. Il resto non è così essenziale.
6 Agosto 2018

Lo ammetto, ho sempre avuto con l’Humanae Vitae un rapporto difficile: diciamo che abbiamo cercato di guardarci in faccia, ma non ci siamo capite.

Nel ’68, quando l’enciclica fu pubblicata, facevo le medie e per andare a scuola mi mettevo i calzettoni bianchi, la gonna a pieghe, la camicetta. Ero troppo giovane e troppo ingenua per capire qualcosa sia dell’Humanae Vitae che del movimento di contestazione che proprio in quell’anno scoppiava. Ma in terza media fui la prima ad andare a scuola in pantaloni (era la Scuola Media Statale 6 di Ferrara): una professoressa fece la spia alla preside che mi chiamò, mi scrutò attentamente e poi disse: “Puoi andare, ma cerca di non esagerare”. Poco tempo dopo la scuola, e la città, si riempivano di minigonne.

Qualche anno più tardi frequentavo la parrocchia e l’Azione Cattolica, facevo la catechista, organizzavo i campi scuola… Ma ero anche partecipe del grande cambiamento sociale che stava avvenendo, cercavo di capire le richieste dei movimenti di contestazione, condividevo molte di quelle istanze e non lo nascondevo, anzi. Lessi l’Humanae Vitae, perché ce ne avevano parlato. Erano i tempi del metodo Billings e del metodo Ogino-Knaus, che venivano spiegati e diffusi anche fra noi giovani. Ma di fronte a quell’enciclica mi sentivo come davanti alla preside, un po’ di anni prima: sola in piedi in mezzo al suo ufficio, messa sotto giudizio e riempita di raccomandazioni di cui non vedevo il senso. Perché le donne non potevano portare i pantaloni a scuola? Perché si poteva parlare di paternità responsabile, ma solo attraverso metodi naturali, non attraverso la pillola o gli altri sistemi? Non era ipocrita, questo? E non era proprio l’ipocrisia della morale borghese una delle cose contro cui gli studenti si ribellavano?

Il linguaggio della Humanae Vitae, con tutti i suoi distinguo e le sue circonvoluzioni, non riusciva a comunicare con me (e con le altre e gli altri che erano giovani allora, e stavano facendo le scelte fondamentali della vita). Oltretutto si parlava solo di “paternità responsabile”, e non di “maternità responsabile”, come se nel campo della sessualità e più in generale della famiglia fossero ancora solo gli uomini a decidere. Eppure proprio in quegli anni la marcia delle donne verso la conquista dei propri diritti diventava inarrestabile (nel ’63 avevano perfino conquistato il diritto di entrare in magistratura!).

Capivo che erano passati meno di quarant’anni dalla Casti connubii di Pio XI (era il 31 dicembre 1930), nella quale si considerava “turpe e disonesto” ogni atto coniugale che non avvenisse nella prospettiva di generare, ma sapevo che c’era stato un Concilio che aveva riconosciuto, nella Gaudium et Spes, la paternità responsabile, affidando la scelta al “retto giudizio” dei genitori. Ma soprattutto c’era stato il nostro percorso – nostro di giovani credenti impegnati nella vita quotidiana della Chiesa e nostro nel senso della nostra generazione – che era già andato oltre il dibattito sui metodi naturali.

Io non penso che la Chiesa debba dire solo le cose su cui il mondo è d’accordo, ma credo che debba riuscire a parlare alle donne e agli uomini del proprio tempo, soprattutto su queste che sono questioni etiche di una certa importanza, ma non verità di fede.

Quello che so è che l’invito a scegliere i cosiddetti metodi naturali è stato disatteso da subito, anche dalle coppie cattoliche, o almeno dalla stragrande maggioranza di loro. Oggi, come giustamente fa notare Chiara Bertoglio, li si riscoprono all’interno di una cultura “bio” sempre più diffusa o per altre motivazioni che hanno più a che fare con gli stili di vita, che non con la morale sessuale in senso stretto. Ma se ne parlo con i miei amici non credenti, o con i credenti più giovani di me, fanno decisamente fatica a capire qual è il problema: ci sono persone che scelgono di essere vegane, altre che fanno yoga, altre ancora che si rendono schiave del proprio cane… Ognuno è libero di fare quello che vuole, e se uno vuole usare i metodi naturali, faccia pure.

Personalmente, faccio fatica a capire come proporre questa scelta – senza banalizzarla, riducendola a una tra le tante possibili – agli adolescenti che consumano sesso senza farsi troppe domande (e sarebbe un bene evitare gravidanze precoci); alle coppie che vivono insieme da anni e solo alla nascita del primo figlio si chiedono se sposarsi; a chi si porta dietro matrimoni o convivenze fallite e ha ritrovato serenità in un nuovo rapporto; alle coppie divise dal lavoro, che porta troppo spesso uno dei due lontano da casa; alle tante che hanno deciso di non avere figli – e dunque non danno valore alla fecondità – o di averne uno quando ormai i 40 anni sono passati; a tutte quelle – quasi tutte – che non vedono la rilevanza etica del tema della contraccezione: se non c’è problema, perché cercare risposte?

Secondo me, il paragrafo più attuale dell’Humanae Vitae è il 7, quello in cui si parla delle caratteristiche dell’amore coniugale: pienamente umano, atto di volontà, una forma tutta personale di amicizia personale, basato sul dono, fedele. E anche fecondo. Oggi la gente ha bisogno di riscoprire l’amore: questa è la priorità. Il resto non è così essenziale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)