Quando arriviamo, una giovane donna sta spazzando la soglia della chiesa; si scusa. [E perché mai scusarsi? Forse perché avrebbe voluto terminare il suo “lavoro” prima dell’arrivo dei visitatori.] Dentro, altre due signore spazzano il pavimento.
Entro e chiedo se vivono in quella minuscola frazione. Mi rispondono di no, i residenti stabili sono rimasti solo tre. Le signore che si stanno prendendo cura di quella chiesa in disuso sono residenti temporanei, ossia visitatori che si sono tanto affezionati da aver acquistato una seconda casa, per le vacanze, i weekend,…
Un po’ di arredi sono rimasti, prevalentemente addossati alle pareti: l’altare, il confessionale, una base per portare le statue nelle processioni. L’atmosfera complessiva è quella degli ambienti non più utilizzati per la loro destinazione e che diventano deposito.
Sulle pareti tracce di affresco. Mi sembra che solo un elemento sia rimasto quasi integro, sull’arco “trionfale”, che divide il piccolo presbiterio dallo spazio riservato ai fedeli.
L’unico elemento rimasto integro sono tre angeli.
Il mio primo pensiero confesso che è stato vagamente paganeggiante: quegli angeli come “genius loci”. Con una venatura fanciullesca: angeli che si meravigliano e sorridono quando qualche persona si affaccia a visitare quella piccola aula liturgica. Angeli desiderosi di rivedere persone.
Ne avranno visti di bambini: i pianti ai battesimi, le voci al catechismo, i canti alle prime comunioni. Poi i matrimoni. E infine funerali. E mille altri accadimenti, nell’avvicendarsi delle stagioni e nel susseguirsi degli anni. Mi risparmio l’esercizio retorico di provare a immaginarne di plausibili.
Quasi banale come considerazione.
Eppure quegli angeli sono stati per davvero testimoni delle vite, poche o molte che siano state, trascorse in quelle case costruite presso uno sperone di roccia.
Il ricordo di quella chiesa e, in essa, dei tre angeli, mi ha accompagnato per diversi giorni, con un pensiero malinconico che non sono riuscito ad articolare più di tanto.
Un pensiero malinconico su quelle parti del nostro Paese che si vanno spopolando; e può trattarsi anche dei quartieri popolari, dove cambiano le abitudini e la parlata, in conseguenza del ricambio etnico con gli immigrati.
Un pensiero malinconico sulla caducità delle nostre vite; sull’essere, la maggior parte di noi, destinati all’oblio, nel volgere di tre o quattro generazioni.
Eppure in quell’affresco malconcio, a ben vedere, ci è offerta una potente allusione.
Sono rimasti integri tre angeli.
Solitamente riuniti in cori, per cantare in eterno le lodi del Signore, e, contemporaneamente, custodi degli uomini e dei loro passi.
Custodi.
Ecco, i nostri giorni e le nostre opere non si perdono nel nulla.
Rimangono custoditi. In una pupilla. Per sempre.
Peccato che, nel frattempo, noi uomini, io per primo, spesso non riusciamo ad adempiere al compito di essere custodi amorevoli per il nostro prossimo.
Grazie Lorenzo per questa delicato racconto. Mi ha molto aiutato a riflettere e sentirmi io stesso custode.
Grazie ancora