Con la forza della tenerezza

È molto duro confrontarsi con la conflittualità tra due persone che si sono promesse per la vita. Ma quel loro matrimonio concreto ci sta a cuore?
27 Ottobre 2013

Arrivano da tutta Italia alla Casa della Tenerezza. Mentre con mia moglie ero lì in visita, abbiamo incontrato una coppia che aveva fatto 600 km per una sosta di 24 ore. Erano in difficoltà, al limite della rottura: lei chiusa a riccio, all’ultimo stadio; lui angosciato e teso. Quelle facce e quegli sguardi, quei corpi irrigiditi, li conosco. Ci sono passato.
Gli hanno parlato di questo posto e ci hanno provato. Alla partenza li abbiamo visti sorridenti, più leggeri. Speriamo che il ritorno a casa sia stata una vera ripartenza.

Su questa collinetta proprio poco sotto a Perugia, da dodici anni ne risuonano a centinaia di storie di coppie, ricche e rigogliose o durissime e in bilico. O anche tutte e due insieme. Secondo don Carlo Rocchetta – che ha messo su e anima la Casa in comunità con nove coppie di sposi – sono circa 1.200 le persone che si avvicinano a vario titolo ogni anno. Coppie in crisi soprattutto “ché ce n’è un gran bisogno”, tra le quali anche coppie che probabilmente non si sono mai davvero sposate. Ma anche sposi in cammino che vogliono vivere appieno il sacramento del matrimonio; giovani, fidanzati e non, che si chiedono a chi dire “sì” nella loro vita per diventare man mano adulti nella fede; formatori che vengono a prepararsi per poi tornare nelle proprie realtà ecclesiali locali.

«Non dobbiamo avere paura della bontà, neanche della tenerezza», disse papa Francesco nell’omelia della Messa di inaugurazione del pontificato del 19 marzo. «Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza», ha aggiunto il Pontefice. La tenerezza, disse Bergoglio, «non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore».

Nella coppia la tenerezza lenisce le ferite e riaccende il fuoco.

Su questa virtù per niente debole né cieca si fonda lo spirito della casa e il carisma della comunità. Oltre che sulla competenza – don Carlo e due delle nove coppie sono consulenti familiari – e sull’esperienza. Altre due coppie della comunità sono uscite da situazioni di grave crisi e ora le offrono a chi ci sta nel mezzo per dirgli: “Dai, si può fare”. Perché è vero che il matrimonio è un “mistero grande”, ma non vuol dire che sia una fregatura.

Non è di pochi, mi pare anche tra credenti, una lettura piena di ineluttabilità, senza speranza e quasi rancorosa rispetto alla vita di coppia e alle crisi e ai fallimenti matrimoniali. Materia di cui troppo spesso ci si occupa solo “a cose fatte” nelle analisi socio-ecclesiologiche allarmate come nei commenti luttuosi davanti alla canonica. Postumi, appunto.

È molto difficile prendersi cura degli sposi e della famiglia. Tante cose si danno per scontate, altre diventano dei Moloch, a partire dalla formazione dei giovani. Ed è molto duro e rischioso confrontarsi poi con la conflittualità tra due persone che si sono promesse per la vita. Non è da tutti, si rischia di far danni, anche religiosi/e carismatici e sacerdoti dal gran seguito. Peraltro credo sia urgente occuparsene e rischiare, piuttosto che no.

Ma soprattutto la cosa più grave è non avere stima nel matrimonio come stato di vita. Questo può dare il colpo di grazia a una coppia che ci ha giocato la vita, un veleno molto subdolo, letale soprattuto per coppie credenti e impegnate. Quante buone parole e prospettive persino “spiritualissime”, ascoltate nella Chiesa, possono separare gli sposi invece che farli ripartire dalla loro unione, che è sacramento, ossia presenza e azione concreta di Dio?

Il matrimonio di quei due lì che ho incontrato, pellegrini dell’angoscia e della speranza, quel singolo matrimonio è importante. Per loro in primis e per i figli e i parenti e gli amici. E anche per me che li ho visti, per la rete sociale in cui vivono, per la Chiesa. Ma quel matrimonio lì ci sta a cuore?

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