San Tommaso: “la visita” delle tre del pomeriggio

Un ricordo d’infanzia e una consapevolezza da adulto: riconosciamo le persone dalle ferite della vita. Lo stesso fece Tommaso con Gesù risorto
16 Aprile 2023

La mia educazione cristiana non venne dai miei genitori, ma da mia nonna. Il mio primo ricordo di San Tommaso spunta da piccino quando con lei andavo a “far la visita” in chiesa alle tre del pomeriggio in quella struttura che, quasi 40 anni fa, mi sembrava grande e altissima e là dentro mi ci perdevo. Accendevo la candela e passeggiavo con lei tra le panche e, intanto, fissavo i grandi dipinti degli apostoli così ben rappresentati su quelle enormi dodici colonne. Per me, da piccolo, gli apostoli erano loro e se devo essere sincero, forse con qualche conoscenza in più, gli apostoli anche oggi sono loro. Quando li penso e quando li prego ancora oggi, da adulto, me li immagino così e mi piace farlo solo in questo modo perché mi ricorda casa e mi ricorda dove nasce la mia fede: da mia nonna.
Nella mia mente Tommaso ha una mano alzata, un indice puntato e un volto incredulo. Tommaso stava toccando le ferite di Gesù. «Ma perché – mi sono sempre chiesto – quest’uomo non credeva?». «Nonna, perché non si fida che Lui è davvero Gesù?». Non ricordo la sua risposta, il giro procedeva stretto nella sua mano.

Da che cosa riconosciamo le persone per davvero? A volte le riconosciamo dal volto, ma non sempre, perché le persone cambiano con il passare del tempo e con l’età. Le riconosciamo forse dal timbro della voce, ma anche quello si modifica. Forse le riconosciamo dai loro passi quando si avvicinano o si allontanano da noi. ma anche questo può variare. Allora, da che cosa riconosciamo le persone?

Tommaso non credeva a quel Gesù che era apparso, otto giorni dopo la Pasqua, in sua assenza, e aveva detto: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20, 25). Benedetto XVI, in una catechesi che fece durante un’udienza generale in un mercoledì di un lontano settembre del 2006, scrive: «In fondo, da queste parole, emerge la convinzione che Gesù sia riconoscibile non tanto dal viso, ma quanto dalle piaghe».
Tommaso non si sbagliava, riconosce Gesù non tanto dal suo viso, ma dalle ferite che porta sul suo corpo. E da quel giorno la storia continuò a ripetersi; i figli possono riconoscere i loro padri solo dalle ferite che si portano addosso, anche quelle sottopelle e che non si vedono.

In un testo di Claudio Risè, Il padre. L’assente inaccettabile, ormai adulto e non più bimbo, lessi questa storia: «Un uomo disse ai propri bambini che stessero attenti per vedere se arrivava il nonno. “Guardatevi intorno, mi sembra che il nonno si avvicini. Vedo sul suo corpo i segni delle vecchie ferite”. I bambini stettero attenti e videro un uomo in lontananza. Dissero allora al Padre: “Un uomo sta venendo qui”. Il padre disse loro: “È il vostro nonno che viene qui”. Sapeva che stava venendo. “Mi sono accorto della sua venuta dai segni delle sue vecchie ferite. Volevo che voi stessi vedeste: egli viene davvero”».
“Il vecchio nonno di quei bambini in un determinato punto del suo corpo portava il segno di una vecchia ferita ben nota al suo figlio adulto, padre dei bambini. Era una di quelle ferite che lasciano un segno visibile per sempre”.

Come mai ci riconosciamo dalle ferite, dalle piaghe e non solo dai nostri volti? Se penso a mio padre o a chi mi ha fatto da padre in questi anni non ho potuto non riconoscerlo per davvero dalle ferite che portava e che, alla fine, erano un po’ quelle che porto anche io.
Sono arrivato a capire con il tempo che noi esseri umani ci ‘incastriamo’ nelle nostre ferite, nei nostri bisogni più veri e profondi e, spesse volte, nascono da lì i nostri rapporti più belli e veri. I rapporti crescono, si strappano, si riallacciano per poi tornare, forse un po’ più riconciliati, alle nostre buone vecchie ferite che alla fine ci terremo per sempre e con le quali impareremo a convivere. Anzi, faremo di più, impareremo a stare attenti a quelle degli altri perché sappiamo la forma del loro amore e del loro dolore. Ma questo è il lavoro di una vita.
Tommaso non riconoscerà più Gesù dal suo volto perché Lui è quello di prima, ma allo stesso tempo non è più quello di prima, perché ora Lui è il Risorto. Saranno proprio le sue ferite a segnare il punto di riconoscimento e a permettere a Tommaso di fare la sua professione di fede: “Mio Signore e mio Dio”.

Ritorno a camminare in quella chiesa deserta alle tre del pomeriggio e dico ancora: “Nonna, ma perché Tommaso non si fida che quell’uomo sia Gesù?”. “Non si fida perché non ha ancora toccato le sue ferite”. Se la nonna mi avesse risposto così, quasi 40 anni fa, non avrei capito.
Ora da adulto, e non più bambino, comprendo che Tommaso, che voleva bene a Gesù, voleva accertarsi davvero che fosse Lui e quel singolare modo di testarlo era l’unico che forse conosceva per ri-attraversare la sua storia. Anche noi abbiamo bisogno di toccare, come Tommaso, le piaghe di chi ci sta vicino, le ferite di chi ci è stato padre. Non è una questione di non fiducia, anzi, ce lo insegna Tommaso: è una questione di vero bene.

(ph: Plaque with Doubting Thomas, Walrus ivory, XII sec, MET, New York)

3 risposte a “San Tommaso: “la visita” delle tre del pomeriggio”

  1. Paola Meneghello ha detto:

    C’è del vero, se pensiamo che una ferita tocca nel profondo, forse trasforma, magari tocca la mia parte più sensibile, porta in superficie ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto.
    Per far sì che qualcosa emerga e sia compreso, occorre averne fatto esperienza, aver “toccato con mano “.
    Ciò che non vivo fin nelle cellule del mio corpo, non fa ancora davvero parte di me, rimane da me distante e separato.
    La Resurrezione è il momento della non separazione, il ricongiungimento e l’identificazione con Dio, la mia Essenza più profonda, mio Padre.
    Risorgo nel momento in cui la Materia che forma il mio corpo, corpo che muta perché è uno strumento temporaneo,
    ha fatto esperienza/toccato/vissuto in sé lo Spirito che la anima tanto da esserne trasmutata; non c’è più separazione, la mia anima spirituale e la materia del mio corpo si sono riconosciute, sono di nuovo Uno con la Fonte originaria.

  2. Pietro Buttiglione ha detto:

    Che dire? Rispetto il tuo sentire e propongo il mio piccolo angolo.
    La macro-tesi è che il riconoscimento tra Persone ( cfr Ricoeur) non può essere fisico ma, anzi, se possibile, if any, ê l’unico segno vivente dell’essere Spirito.
    Io scrivo che SE tu riconosci te stesso come unico, dalla nascita alla morte, quella unicità ê l’unico ns format che apparirá nella Luce del post-mortem.
    Scusa se insisto ma le ferite agiscono a livello personale, sub-conscio.. mentre ci sono esperienze fondanti che caratterizzano tutta la ns vita, tipo la mano della nonna.
    Un esempio ‘alleggerente”😄 RENZI.
    E’ rimasto il capo-scout ragazzo.
    Ma nn ha ancora capito che non ha + sotti-stanti..😰

  3. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Tommaso crede perché riconosce Gesù per le sue piaghe; la Sindone che si conserva parla di Lui perché sono leggibili i segni del Crocifisso, e anche io mi domando perché quel telo rimane conservato lontano da sguardi, se esiste perché non soddisfare tutti coloro che sanno di Lui e desiderano vedere? In Isaia 53 lèggiamo:” Il castigo che ci da salvezza si è abbattuto su di Lui. per le sue piaghe noi siamo stati guatiti.” Dalla profezia alla Verità. Tommaso ha toccato con mano, per credere, ma ancora esistono uomini come lui bisognevoli. “ beati coloro che credono senza avermi visto” ha detto Lui il Maestro e Signore. Fatto grande è stato questo!l’uomo ha speranza di risorgere per mezzo di Lui.Oggi una sfilata di persone costrette a muoversi in sedie a rotelle a chiedere di fare di più’ per appianare ciò che osta ai loro spostamenti. Le piaghe di un fratello sono segno di un amore grande da imparare tra noi.

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