C’è una vita senza fine: ne siamo certi

«Questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia»
12 Agosto 2018

XIX domenica del tempo ordinario: Gv 6,41-51

L’ALBERO DELLA VITA (Henri Matisse, 1949-51, Vence, Cappella di S. Maria del Rosario)

 

Nel brano del Vangelo di Giovanni, spalmato dalla liturgia su quattro domeniche, la parola-chiave odierna è senz’altro “la vita”. Ed è anche la scelta di Matisse, nella Cappella che crea in questa cittadina provenzale, arrivando a progettare persino i paramenti sacri.

Ispirato da quattro domenicani e dall’amica suor Jacques-Marie, che fu sua modella, l’artista ha la felice intuizione di piantare l’albero della vita lì dove si celebra l’Eucaristia. Con una pittura su vetro, che filtra la luce esterna attraverso tre soli colori (giallo, verde e blu), riesce a trasmettere l’idea di una tensione verso l’alto, a raggiungere colui che dà la vita eterna… al contrario della manna, che non dà la vita eterna.

Pur uscendo dalla metafora del pane vivo, l’artista comunica che in Gesù la vita non finisce. Lasciando intuire – con figure che richiamano la vegetazione – come siano necessarie una cura e un’innaffiatura quotidiane, per non far appassire il rapporto col Signore.

È sorprendente che un così bell’invito alla vita ci venga da un uomo vicino a lasciarla. Se talvolta pare di percepire – intorno a noi – una rimozione della morte, Matisse fa riflettere su come possa essere altrettanto forte il silenzio sulla vita, sul far nascere, sul far rinascere, sul tenere in vita… Allo stesso tempo, senza eludere la morte e il messaggio che è l’amore a vincere la morte («Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo»). Infatti il pittore della Gioia di vivere, che avverte il profumo della vita anche in una natura morta, forza la propria natura e dà forma a una Via Crucis in bianco e nero, di straordinaria essenzialità.

A proposito di quest’opera, Don Franco Patruno, raffinato artista e critico, nonché grande estimatore di Matisse, scrive che la sua arte «ci informa come saremo un giorno, con la pesantezza di una carne trasfigurata in leggerezza, quando le semplici piastrelle bianche avranno finito di anticipare il coro dell’eternità».

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