La vittoria di Dio

Il discorso di Gesù mira a rassicurare i suoi e a garantire che alla fine Dio “vincerà”. Ma con quali tempi e modi?
17 Novembre 2024

ANNO B – XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Mc 13,24-32

Il cap. 13 di Mc è tutto abitato dal genere letterario apocalittico. Si tratta di un modo di esprimersi dell’autore biblico che fa ricorso a sogni e visioni, che attraverso simboli e immagini fantastiche, mira a rivelare una verità importante, che consente al lettore di rintracciare un senso positivo in situazioni ed eventi presenti che sembrano, invece, manifestare solo il senso della “fine”, del disastro. Mc non fa eccezione e in questo testo di oggi l’intenzione di fondo è quella di incoraggiare e consolare la comunità cristiana a cui il vangelo è indirizzato che vive un contesto di crescente tensione e persecuzione.

Sbaglieremmo, perciò, a interpretare il testo sottolineando ciò che spaventa e atterrisce, mentre, al contrario il discorso di Gesù mira tutto a rassicurare i suoi e a garantire che alla fine Dio “vincerà”. Diventa essenziale, allora, per cogliere il senso autentico del testo, precisare bene i tempi e i modi di questa vittoria.

I tempi.

“Ma in quei giorni…” (v. 24). Di quali giorni si tratta? Di solito siamo spinti a pensare ai giorni della cosidetta “fine del mondo”, ma è molto probabile che Mc non intenda ciò, bensì che stia parlando dei giorni della pasqua di Gesù, il cui racconto è posto subito dopo, ai cap. 14-15.

Avrebbe così senso riconoscibile l’espressione del v. 30: “non passerà questa generazione prima che tutte queste cose siano avvenute”. Ed in effetti i segni e gli avvenimenti annunciati nel brano di oggi, per Mc si realizzano nel corso del racconto della pasqua. Il buio sulla terra di 15,33; il velo del tempio che si squarcia di 15,38 sono la realizzazione dei vv. 24-25 di oggi; la ripresa della citazione del figlio dell’uomo, da parte di Gesù, davanti al sommo sacerdote in 14,61 e il riconoscimento della divinità di Gesù da parte del centurione al momento della morte in 15,39 traducono il v. 26 di oggi.

La vittoria finale di Cristo, perciò, è già avvenuta. Egli è già ora il Signore della storia e la prossima domenica celebreremo proprio questo. In questi tempi, che appaiono così oscuri, senza luci del cielo, senza punti di riferimento; in cui le potenze del mondo sono “sconvolte” (v. 25), che, tradotto meglio, sono in balia degli tsunami di questa “liquidità” culturale e sociale che viviamo; in cui assistiamo, spesso impotenti, alla grande “tribolazione” (v. 24), che, tradotto meglio, indica un’oppressione violenta che toglie il respiro dei singoli e dei popoli e rende impossibile la loro fioritura come persone umane; ecco, proprio in questi tempi dobbiamo ricordarci che la sua parola “non passerà” (v. 31), cioè non sarà “sorpassata” e lasciata indietro.

Tradotto: questo mondo non è sfuggito e non sfuggirà alle mani di Dio. Quello che sta accadendo non è il segno della sconfitta di Dio, ma di un cambiamento in cui la sua Parola continuerà a restare vera, continuerà a manifestarsi dentro ai tornanti di questa storia umana, che ne riveleranno altri lati, dimenticati o mai ascoltati. In questo senso oggi è l’apocalisse, cioè la rivelazione, lo svelamento, per farci uscire dalle gabbie delle pesantezze storiche che, come Chiesa ci hanno fatto “sedere” comodamente nel mondo per alcuni secoli, rischiando di addormentare la nostra fede, di renderla sterile e non più capace di leggere la sua Parola nella storia.

Allora non serve a nulla, anzi è disastroso per la Chiesa, cercare di “controllare” i tempi di Dio, i quali restano nel mistero (v. 32) proprio affinché noi non siamo tentati di impadronircene e, come Chiesa, di sostituirci a lui. Il tempo essenziale, quello da cui tutto cambia è già avvenuto, nella sua Pasqua. Lasciamo fare a Dio il suo mestiere. Il nostro tempo ora è nelle sue mani e nessuno potrà strapparglielo. Perciò ci viene chiesto solo di fidarci nella consapevolezza che non c’è nulla da temere e nulla da raggiungere, ma solo provare a leggere come oggi la sua Parola si manifesta, senza cercare di prevenire e prognosticare (ancora oggi assistiamo di nuovo ad annunci della fine del mondo!) per poter controllare la storia.

I modi.

Le forme di questa vittoria di Dio sono tutte rivelate, e al tempo stesso nascoste, dentro l’espressione centrale di questo brano: “vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria” (v. 26), che si rifà a Dn 7,13. Mc utilizza molto l’espressione “Figlio dell’uomo” per designare Gesù. In essa troviamo almeno due significati che ci rivelano i modi di questa vittoria di Dio.

Primo. Tutta la seconda parte di Marco (dopo il cap. 8) attribuisce al “Figlio dell’uomo” un ruolo messianico, ben diverso da quello atteso dai suoi contemporanei: è un Messia sofferente e rifiutato, destinato a subire dolori e morte per la salvezza degli uomini. Inascoltabile agli occhi dei discepoli e per le folle, perché non coincide con l’immagine tradizionale del Messia come figura di potere e gloria.

Il che ci dice che quella potenza e gloria non vanno lette secondo criteri umani di forza che si impone e di autorità conferita dal ruolo sociale che, perciò, spinge tutti a doverla riconoscerne. La potenza del “Figlio dell’uomo”, invece si rivela come amore che si offre, che si dona in una apparente debolezza, come il centurione comprende bene al momento della sua morte (15,39), unico riconoscimento esplicito in bocca ad un uomo, in questo vangelo, della divinità di Cristo. E la gloria del “Figlio dell’uomo” è, perciò, data dal riconoscimento di chi conosce e ha sperimentato la forza dell’amore, non quella del potere. Una Chiesa, allora, che mette in campo battaglie, anche quelle contro il male, attraverso l’uso della forza e la ricerca del potere, fosse anche a fin di bene, non ha capito questa apocalisse, questa rivelazione: solo l’amore che si dona vince davvero.

Secondo. L’espressione “Figlio dell’uomo” sembra semplicemente indicare l’umanità di Gesù, sottolineando che lui, pur essendo il Messia, è un essere umano, come tutti. Questo significato si rifà all’uso del termine in ebraico e aramaico, dove “figlio dell’uomo” può voler dire semplicemente “essere umano” o “mortale”. In questo senso, il termine rappresenta Gesù come figura divina incarnata, in una condizione di debolezza umana, aperta alla sofferenza e alla morte. Ma in quella condizione Dio si rende operativo e presente nella storia.

La vittoria di Dio allora, arriva restando dentro ai limiti umani, non cercando di travalicarli anche se con il Suo aiuto. Dio vince il mondo, il male, il peccato dentro al limite di ogni esperienza e non in esperienze limite. Anche qui si mostra come sia la debolezza apparente della fragilità amorevole a rendere possibile l’infinito amore gratuito che ci salva. Una Chiesa che accentui molto le esperienze limite (miracoli, santoni, eventi soprannaturali) e le renda quasi una necessità per rendere possibile la vittoria di Dio, è una Chiesa che non ha capito questa apocalisse, questa rivelazione: solo restando umani si può dare spazio a Dio.

10 risposte a “La vittoria di Dio”

  1. Francesca Vittoria vicentini ha detto:

    Effettivamente in ogni storia personale il dolore, i momenti bui sono narrati da tutti come un vissuto e si superano o si sono superati con quanto di Fede, Speranza si hanno nel cuore. Diversamente resta solo la disperazione e tutti quei sentimenti che alimentano odio e ribellione contro la vita. E’ l’amore che riscatta genera vita nuova anche nelle avversità. Cosi avviene negli avvenimenti della società di ogni tempo, per questo la Parabola e premonitrice, Cristo ha superato prove insidiose come uomo ma le ha vinte fidando nel l’amore del Padre, Egli e il Risorto, il Vivente oggi come ieri, e se fidiamo nella sua Parola anche noi lo saremo. Le prove sono ineluttabili la natura umana e soggetta a errori, fragile, bisognevole di aiuto anche ad amare, quello da Cristo. Le guerre non sono via alla Pace oggi stiamo vivendo questa realtà disumana, e ancora si cammina come da ciechi. Gesù Cristo e’ la sola luce guardiamo a Lui e preghiamo Maria madre ns.speranza !

  2. Maria Cristina Venturi ha detto:

    Attenzione che la vittoria e’ di Dio non vostra. A tutti quelli che si credono rappresentanti di Dio e porta voce di Dio su questa Terra: attenti chei l Giudizio cadra’ anche su di voi che vi sentite cosi’ sicuri di essere nel giusto.Non sarei tanto sereno e Ilari. Voi pensate che i peccatori siano sempre gli altri. E invece, avrete delle sorprese all’ Ultimo giorno, razza di farisei, di ipocriti. Modernisti,progressisti, ma ipocriti.

    • gilberto borghi ha detto:

      Ma cosa le hanno fatto? Mi dispiace molto… le mando un sincero abbraccio.. se lo vuole ricevere.

    • ALBERTO GHIRO ha detto:

      Per quel che mi riguarda ho solo la necessità di scrivere su questi argomenti, non posso farne a meno, fa parte di una mia ricerca personale, mi spiace di urtare i sentimenti di qualcuno, non pensavo…. ma continuerò a scrivere se mi viene consentito.

  3. Paola Meneghello ha detto:

    Proprio nella piena umanità, si svela il divino.
    Umanità che non ha paura del limite e della fragilità, ma ne fa la sua forza.
    Dico sempre che nessun robot potrà mai piangere; l’uomo invece ha scambiato la forza con la capacità di nascondere la propria sensibilità.
    Ma non si può rinnegare per sempre la propria natura, solo in questo sta la vittoria di Dio, che corrisponde alla nostra, perché umano e divino vivono uno nell’altro.
    Un fiore non può fare a meno di fiorire, così un uomo non può fare a meno di innamorarsi della Vita e fidarsi di essa, perché quel Sentimento, quel pathos indefinibile, è la sua stessa Essenza.
    Il Seme contiene il frutto da sempre, ne contiene il modello/pensiero originario, seguendo il quale man mano sboccia e prende forma..
    Forse il senso della Vita è semplicemente attraversarla, lasciare che faccia il suo corso e ci faccia sbocciare, confidando che sappia esattamente dove ci sta portando.

    • ALBERTO GHIRO ha detto:

      Condivido questa citazione trovata sui social:
      “Si vuole sempre essere qualcosa, se non nelle creature, in Dio, e nulla al mondo é più raro che trovare una persona che si accontenta di non essere nulla in tutto, perché Dio sia tutto in lei” (Catherine de Bar)
      La trovo molto commovente pur se corrispondente al mio pensiero 😁

  4. Pietro Buttiglione ha detto:

    Caro Alberto, il fatto è che su un sito legato a don Gasperini sto discutendo proprio di finito/infinito.
    Succede che a. He in matematica oo è bannato/scantonato.. insomma essere FUORI xel tempo non è = oo.
    Qui di Dio non è oo. Dio è Altro.Da ogni ns definizione&idea&concetto&,,, ecco xchè a che conoscere…
    Ciao

  5. Pietro Buttiglione ha detto:

    Sempre solare leggerti.
    Capto dalla tua riflessione un pensiero che mi assila da tanto tempo, trouble viscerale.
    Così chiudi tu:
    La Chiesa che NON ha capito.
    E mi\ti chiedo:
    E noi abbiamo capito cosa ci vuole dire Lui??
    Sappiamo solo lamentarci che tutto va male Chiesa E Società…
    Ma lungi da noi cercare di capire il perchè, il MESSAGGIO ( che, lo sai, x me è AVETE TRASCURATO come mio unico vero destinatario la SINGOLA PERSONA, il prossimo in luogo delle ideologie da skomunicard, il mondo da sotterrare alla Ruini, il politico da.. la kultura da dedicare, il sociale..
    PS x Ghiro
    Non è probl di infinito, che non esiste, nè di conoscere..

    • ALBERTO GHIRO ha detto:

      Sono termini più laici o letterari (Leopardi) ma corrispondono a vocaboli evangelici: l’infinito è ciò che non termina, che si protrae senza limiti (Treccani) e corrisponde all’eternità annunciata dal vangelo, la conoscenza intesa come apprendimento si rivolge alla verità insegnata nel vangelo.

  6. ALBERTO GHIRO ha detto:

    Sulla possibilità di infinito si basa la differenza tra essere figli di Dio e la volontà di essere che non può che rispecchiare il limite della nostra vita o, allargando, della nostra civiltà.
    La stessa possibilità di infinito distingue la conoscenza di un oggetto, il fico, dalla limitata conoscenza nel tempo e nello spazio del soggetto, l’individuo o, allargando, la civiltà.
    La capacità di conoscere apre alla capacità di amare in quanto si ama ciò che è possibile conoscere oltre a ciò che di esso già si conosce.
    La fede nel padre libera dal limite della volontà di essere e della conoscenza di sé e apre all’infinito dell’essere figli, della capacità di conoscere e di amare.

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