ANNO C III – DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Lc 1,1-4; 4,14-21
Il vangelo di oggi accosta due brani distanti tra loro. Il primo è il famoso prologo di Lc. Quattro versetti in cui l’evangelista indica il senso del suo scritto: garantire la solidità (v. 4) delle parole della fede, appoggiandola sulla certezza ordinata e accurata degli eventi della vita di Gesù, ricavata dalle sue ricerche personali (v. 3).
Questa introduzione, perciò, ci obbliga a ritenere l’osservazione e l’attenzione al dato storico concreto, degli eventi narrati, di importanza decisiva per intuire l’intenzione dell’autore, su cui il senso ispirato del testo si impianta.
Il secondo brano è, invece, preso dal cap. 4, ed è proprio il primo passo in cui si mostra Gesù all’opera in Galilea, dopo aver descritto la sua nascita e la fase di formazione e preparazione di Gesù al suo ministero. Ed è proprio l’osservazione e l’attenzione al dato storico concreto e ai suoi dettagli, che ci guida nell’ascolto.
Come tutti i buoni ebrei, anche Gesù si reca nella Sinagoga della sua città natale, Nazareth, per lo Shabbat. Dopo le preghiere iniziali e la lettura di un brano della Torah, si legge un brano dei profeti. Molto probabilmente, a questo punto, Gesù si alza e chiede di poter leggere. È usuale che qualcuno lo chieda. Ed è usuale che gli venga dato il rotolo, questa volta del profeta Isaia.
Ma a questo punto, secondo moltissimi biblisti, lui compie un primo gesto inatteso, di trasgressione del rito: non legge il brano previsto dal calendario settimanale della sinagoga, ma deliberatamente va a cercare un passo ben preciso: Is, 61,1-2a. Conosciutissimo dagli Ebrei, uno dei passi favoriti in cui la venuta del messia viene descritta con effetti liberatori per tutto il popolo, attraverso cui la povertà (in ogni sua forma) dovrà scomparire da Israele. Ma Gesù lo legge non per intero, si ferma prima del v. 2b, che recita: “un giorno di vendetta per il nostro Dio”.
Già qui possiamo fermarci su due caratteri interessanti. Intanto che l’avvento del regno di Dio, ad opera di Gesù, è la fine della vendetta, dell’esclusione, dell’essere contro qualcuno. La rivoluzione delle rivoluzioni! Il Regno è alla portata di tutti e non chiude le porte mai a chiunque voglia entrarvi, fidandosi di Cristo. Un passo avanti rispetto all’assillo ebraico della definizione della propria identità come di qualcosa che li renda “diversi” dagli altri popoli. Il popolo di Dio, nel corpo di Cristo, non è preoccupato di essere diverso dagli altri, ma di fare in modo che tutti si sentano attratti da Cristo e a “casa” nella Chiesa.
Secondo. Il primo effetto dell’irruzione del regno nel mondo, non è religioso o rituale, ma di giustizia sociale. A scanso di ogni equivoco, Luca ci tiene a sottolineare che il regno di Dio modifica fin da subito le relazioni sociali, economiche e giuridiche, tanto da finire per identificare la venuta di Cristo con l’anno del giubileo Ebraico (v. 18), dove si dovevano restituire le terre confiscate ai proprietari originari, liberare gli schiavi e annullare i debiti. Una fede, quindi, che si richiuda nel sacro e si limiti ai riti religiosi tradisce profondamente il nocciolo originario del vangelo e svuota la croce di Cristo, perchè è una fede non rivoluzionaria.
Ma torniamo nella Sinagoga. A questo punto la tensione è già alta, perché Gesù si è permesso di non seguire i canoni usuali del rito. Riconsegnato il rotolo, il rito prevede che qualcuno di istruito nelle scritture, faccia un commento a ciò che è stato letto. Ma tutti lo fissano (v. 20). Una fissità che sta a metà tra l’attesa del commento e il risentimento per la trasgressione, tra lo scandalo della sua novità e il giudizio su di essa, pronto a scattare.
E qui Gesù rincara la dose, compiendo una seconda trasgressione, questa volta non del rito, ma sul valore della sua persona: “oggi è arrivata a realizzazione piena questa scrittura che avete udito” (v. 21). E cosa hanno udito? Che lo Spirito del Signore è su colui che dà compimento a questa parola (v. 18). Per loro è chiarissimo, quindi, che Gesù si sta riconoscendo messia. Tanto che poi questo scatenerà la reazione dei presenti, fino a cercare di farlo morire (v. 29), ma senza riuscirci.
Ma il testo di oggi si ferma qui e ci suggerisce di concertarci, perciò, proprio sulla figura di Gesù. Il regno di Dio, con la sua richiesta potente di giustizia sociale, non arriva attraverso una rivoluzione di popolo, magari capeggiata dal messia, come alcune fazioni degli Ebrei desideravano. Arriva invece coltivando la relazione con Cristo, “tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2). Perché in lui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9).
La forza rivoluzionaria della giustizia sociale che il regno chiede nasce solo dall’essere innamorati di Cristo, come Dio stesso mette in bocca ad Osea: “tu mi chiamerai: ‘Marito mio’ e non mi chiamerai più: ‘Mio padrone’. […] Ti fidanzerò a me per sempre; ti fidanzerò a me nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza. Ti fidanzerò a me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2,16-20).
Questo rapporto di intima fiducia e abbandono amorevole, permette a Cristo di riempire della sua pienezza il fedele, che allora sarà spinto, come Geremia, a non poter chiudere dentro di sé il fuoco dell’amore: “C’era nel mio petto come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20, 9).
Da qui nasce la rivoluzione sociale del vangelo!
E noi oggi che cosa possiamo dire circa la presenza dello Spirito sulla terra? Quanto Cristo e il suo Vangelo e oggi bene accolto? Eppure l’abbiamo conosciuto, presente nei fatti, Papi che hanno lottato per la verità, in difesa dei deboli e fedeli che si sono fatti alla sua sequela. Ma le guerre sono vie ritenute dai Governanti scelte opportune, anche la’ dove sorgono sue Chiese, il Suo Spirito non scalfisce certa apatia da impotenza di popolo, non emerge orrore alla violenza dell’odio. I territori sono inquinati dai detriti bellici, crescerà ancora una spiga sana da quel concime?E i pesci che vivono in acque rosse di sangue umano potranno essere ancora cibo? Si, Cristo è venuto ma non da tutti accolto e oggi popolazioni languono in guerre fratricide mentre e flebile quella Voce che in suo Nome rompe il silenzio dell’indifferenza, richiamando a quel Messaggio che Cristo ha proposto e rinnovare il mondo.
Ci vuole coraggio per testimoniare ciò che si è con le parole e ancora di più con le proprie scelte e azioni quando si è consapevoli che essere è essere figli di Dio. Ci vuole coraggio prima di pentimento e contrizione.