Il magnifico fondale

La provvisorietà di quanto si realizza sulla scena del mondo. La rinuncia a imporre sempre la propria cifra. Interrogativi e pensieri in libertà, suscitati da un dettaglio del Giudizio Universale di Giotto
12 Novembre 2022

Mi era già successo: tornare dai pochi giorni di vacanza estiva con un’immagine fissata nella mente. Come due anni fa, provo a condividere il racconto con i lettori.

Ultimo giorno di vacanza, ultima tappa: la Cappella degli Scrovegni. Un quarto d’ora per la visita, preceduto da un altro quarto d’ora in una specie di camera stagna, per mantenere entro limiti controllati i valori di umidità, inquinanti, … In questo quarto d’ora di anticamera, tutti buoni, assistiamo ad una proiezione che ci prepara a quello che andiamo a vedere. E, se non fosse stato per quel video di introduzione, il dettaglio di cui desidero parlare non lo avrei mai notato.

Entriamo, finalmente. Gli occhi ritrovano immagini famosissime, eppure si accendono di meraviglia. Quello di Gioacchino ed Anna è probabilmente il primo bacio della storia dell’arte. Il miracolo conviviale di Cana sta accanto alla solitudine di Cristo che sale al Calvario. Dappertutto quell’azzurro, l’azzurro di Giotto, che ha sostituito il fondale dorato delle raffigurazioni bizantine, un tocco di realismo per raccontare credibilmente la vicenda di Dio fattosi vero uomo.

Sulla controfacciata il giudizio universale.

In basso i morti si aiutano l’un l’altro a venire fuori dalle tombe. Più su, giusti e dannati, ovviamente ai lati opposti del Cristo giudice. Poi gli apostoli e le schiere di angeli. E, infine, a lambire la volta, ai lati della trifora, quel dettaglio minore che aveva suscitato la mia curiosità.

Due arcangeli, uno a sinistra, l’altro a destra, l’arcangelo del sole e l’arcangelo della luna, iniziano a “riavvolgere il cielo”, come se fosse un telo. Ci sembra di riconoscere anche lo spessore della cortina del cielo; il retro è evidenziato in un bel colore  rosso. Dietro il telo che viene avvolto (o dietro il sipario che si apre, questione di punti di vista), possiamo sbirciare qualcosa della nuova Gerusalemme, risplendente di oro e gemme, come si addice alla Sposa.

Geniale, ho pensato. Solo dopo ho scoperto che non è un’invenzione di Giotto, ma proviene direttamente da un versetto dell’Apocalisse: Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge (Ap 6,14). Gli storici dell’arte sapranno se questa rappresentazione ha qualche precedente o se c’è qualche artista che l’ha ripresa in seguito. Non importa. Sono altre le considerazioni che a poco a poco si sono affacciate.

Se il cielo è il fondale delle vicende umane, tornano alla memoria le parole di Paolo (nella precedente traduzione): “passa la scena di questo mondo” (1 Cor 7,31).

Giotto, così facendo, dà prova di fedeltà alle Scritture, ma anche di grande coraggio. Dipingere tutto il cielo in quell’azzurro meraviglioso, anzi sfidare le consuetudini “inventando” il cielo azzurro, e poi dirci che è destinato ad essere messo via, come una vecchia carta da parati. Facciamo finta che si tratti di musica e non di pittura: è come se Bach, Mozart, … fossero ridotti a confessare che anche la melodia più sublime dovrà lasciare il posto a qualcos’altro, totalmente altro. Rimanendo nell’esempio della musica, cosa/come può essere totalmente altro? il silenzio?

E, in fondo, se accade questo del cielo, non stiamo svalutando tutto il resto, le vicende umane che sotto il cielo si sono svolte, si svolgono e si svolgeranno? Non stiamo svalutando tutto il nostro darci da fare per le cose di quaggiù, i beni penultimi? È tutta roba di poco conto, destinata alla rottamazione, per lasciare posto allo splendore ultimo dell’oro? Il paradosso non riesco a scioglierlo, lo condivido con semplicità, non spingendomi oltre nei territori dell’escatologia.

Torniamo, dunque, a Giotto. Mi sembra che lui aggiunga il disvelamento della Gerusalemme celeste, anche qui con una ineccepibile fedeltà etimologica: Apocalisse, rivelazione.

Uno spiraglio d’oro, dietro la cortina del cielo. Si direbbe ancora una citazione dell’Apocalisse, forse un po’ meno precisa. Infatti, stando alla descrizione nel capitolo 21, ci saremmo aspettati il rossiccio del diaspro e il bianco delle perle. Giotto, invece, dopo aver inondato tutto di azzurro, usa l’oro, alla maniera degli artisti bizantini.

Un minimo ripensamento? un omaggio ad uno stile di cui intravedeva l’inizio del declino?

Preferisco pensare che si tratti della consapevolezza di non poter inquadrare tutto in un’unica cifra stilistica, che, alla fine, diventa una gabbia. Preferisco pensare che si tratti dell’umiltà propria dei grandi, che sanno di non poter dire sempre e su tutto l’ultima parola. Preferisco pensare che quel tocco di oro in una distesa di azzurro riveli la consapevolezza che va sempre lasciato spazio a ciò che è diverso da noi, all’altro che, in qualsiasi modo, “viene incontro a noi” (così pregheremo in Avvento).

Questo atteggiamento, a ben vedere, è esattamente opposto a quello di chi, in qualsiasi ambito della vita sociale, dice troppo spesso “io…”. In qualche modo il Vangelo di domani (Lc 21,8) forse allude anche a questo e da questo ci mette in guardia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

I commenti devono essere compresi tra i 60 e i 1000 caratteri. I commenti sono sottoposti a moderazione da parte della redazione che si riserva la facoltà di non pubblicare o rimuovere commenti che utilizzano un linguaggio offensivo, denigratorio o che sono assimilabili a SPAM.

Ho letto la privacy policy e accetto il trattamento dei miei dati personali (GDPR n. 679/2016)