La farina proviene prevalentemente dal sacco del mio amico geniale, ma ci ho riflettuto e ho concluso che sia opportuno condividerla e magari farci anche un po’ di pane.
L’altro giorno Davide commentava riguardo a questa moda tossica di berciare in quasi ogni telecronaca sportiva. Pare che tutto, qualsiasi momento, debba essere epico ed eccezionale. Non è soltanto cattivo giornalismo e non è soltanto squallido sfruttamento delle emozioni per creare ingaggio di pubblico attraverso il più frusto sensazionalismo.
In tutti questi anni di studio e di insegnamento della storia mi è parso di capire che contano più i processi di lungo periodo, ossia quella che Fernand Braudel chiamava la “lunga durata”, che i singoli avvenimenti.
Certamente i singoli avvenimenti, come vincere la finale di Europa League o il Roland Garros, possono essere assai avvincenti e importanti; però bisogna fare attenzione perché se tutto è “storico”, nulla lo è per davvero.
L’abuso di retorica riguardo alla storia, che si tratti di una gara di atletica o di trenta giri di motociclette in un autodromo, è la spia del rapporto pessimo che collettivamente ormai abbiamo con la dimensione della storia.
Sembra tutto “storico”, ma non abbiamo né storia né memoria: è tutto talmente storico che nel discorso collettivo quasi non ci si ricorda più della squadra di calcio che ha giocato ai mondiali del 2006 o agli europei del 2016, per non dire di altre questioni dell’ultimo mezzo secolo o giù di lì.
Per quanto strano possa sembrare a primo acchito, l’abuso di retorica sulla caratteristica “storica” di alcuni avvenimenti sportivi, con tanto di cantilene e grida in diretta, è omologo dell’abuso di enfasi sul carattere “eccezionale” dei video su Instagram e TikTok, da quelli che preparano un panino imbottito a quelli che tagliano le sopracciglia in modalità ASMR.
Come ha intuito l’amicə geniale, tutti questi comportamenti sono forse la spia di un’ansia generale in cui siamo tutte e tutti variamente a bagno: la paura di non essere notati, e a monte la paura di essere dimenticati.
Non c’è bisogno di citare Ugo Foscolo per rammentare che, invece, presto o tardi quasi tutte e tutti saremo dimenticati, e anche tutti questi terabyte di dati cadranno nell’oblio della storia umana, in cui ci precedono miliardi di persone delle quali non ricordiamo né il nome né le fattezze. A malapena teniamo a mente il nome di qualche mezza dozzina di faraoni, condottieri, pensatori e artisti; per tutto il resto ci sono le enciclopedie e i cataloghi degli archivi.
Insomma: a ben vedere in tutto questo vitalismo di strepiti e di gesta eccezionali e di manicaretti eccezionali e di trovate eccezionali c’è quella ansietta irrisolta per la morte di cui non conviene mai parlare e che si trova più comodo nascondere sotto il tappeto.
Look at me, I’m here: ma in tutta questa ansia di mettersi in mostra e farsi notare, che è anche il motore di questa piattaforma che stiamo usando, si nasconde l’ansia umana, troppo umana, e comunque straordinariamente comprensibile, di fronte all’orlo del salto nel grande ignoto.
Chissà: forse faremmo meglio ad ammetterla e provare a parlarne con qualche persona
Non x supponenza ma x basificare… Lo dico al cap.O del mio libro.
Il tempo alla base dei ∆-variazioni.
Storificare l’hic et nunc com mera ILLUSIONE di TRASCENDENZA.
PERMANENZA ..
FERMARE IL TEMPO.
Aspirazione alla ETERNITÅ, che ê ALTRO.
E anche lo spazio entra nel giochetto.
Esso é la colla del ns jic et nunc. Della nostra Realtå.
Nel post-moderno ci si Illude di poterla superare con il virtuale che e’ realtā SOLO nella ns mente.
Mera illusione mentale.
Prometeo crede di potersi liberare.
Povero e meschino
Solo Dio.,,,,,,,,
Condivido l’idea di fondo. Alla quale andrebbe aggiunto l’effetto prodotto dal passaggio dalla modernità alla postmodernità.
Nella prima il tempo è percepito in modo virtuale, mai come un dato direttamente tangibile, al contrario dello spazio che invece è tangibile. Nella post modernità la percezione tende ad invertirsi: il tempo è sentito come reale (vale solo il presente) e lo spazio percepito come virtuale (molto più importante essere su internet che essere presente allo spazio reale di casa propria).