Mamadou, il figlio venuto da lontano

Aprire le porte di casa a un richiedente asilo, costruire con lui un percorso che guarda al futuro, scontrarsi con una burocrazia che domani potrebbe fermare tutto. È la storia della famiglia Galasso di Riccione
12 Dicembre 2016

Nella città degli uomini accade anche questo, che uno dei tanti ragazzi profughi arrivati nella nostra Italia tra mille pericoli e traversie, e spesso guardati con pregiudizio e sospetto da moltissimi di noi, trovi invece non solo accoglienza in un centro di smistamento ma addirittura ospitalità stabile in una casa di Riccione, presso una famiglia normale composta da due genitori e da due figli che hanno più o meno la stessa sua età. E’ quello che è accaduto a casa del mio carissimo amico Mario Galasso, col quale condivido anche un cammino francescano nella stessa fraternità OFS, il quale assieme a sua moglie Laura e ai suoi due figli, Matteo e Chiara, ha avuto il coraggio di vedere in DioufMamadou, senegalese di 21 anni, non un “profugo” ma un altro figlio e fratello, per il quale trovare un posto degno nella loro casa di Riccione. E non solo, la voglia di aiutarlo li ha spinti anche a trovare la possibilità di farlo studiare e perfino di praticare un’attività sportiva a livello agonistico presso una squadra di atletica riccionese: a Mamadou correre piace moltissimo ed è veloce, quindi spesso vince… purtroppo però spesso prosciutti che non può mangiare visto che è musulmano, e quindi porta regolarmente a casa con un sorriso più grande del suo stesso faccino ormai disteso.

E’ vero, bisogna dirlo, Mamadou non scappava da un paese in guerra perché in Senegal in questo momento non esiste un vero e proprio conflitto aperto, ma scappava dalla lotta quotidiana contro una povertà che toglie non solo cibo e acqua, ma soprattutto avvenire e speranza. Così ai tanti che chiacchierano seduti nei nostri bar “sul perché non li aiutiamo a casa loro” (fermo restando che non conosco nessuno di loro che sia partito per trovare davvero una soluzione che li aiuti nel loro paese… ma forse non è capitato a me di incontrare uno di questi signori!), la famiglia Galasso tutta insieme risponde con un gesto concreto di accoglienza qui. Hanno deciso cioè di “sporcarsi le mani” e “formare” un uomo che avrà studiato e avrà molte più probabilità, se vorrà, di aiutare in qualche modo il suo paese a crescere proprio grazie a questa meravigliosa esperienza di amore e crescita che gli è stata offerta.

Così il miracolo semplice e feriale, per quanto immenso almeno ai miei occhi, è avvenuto; abbattendo muri in casa si è ricavata una terza cameretta, il cibo comune si è rivelato spesso diversificato per rispettare anche il credo di Mamadou, mentre le sue preghiere a orari fissi hanno lasciato a bocca aperta soprattutto i due ragazzi che lo vedevano alzarsi a cena finita chiedendo un po’ disorientato dove fosse la Mecca per poter orientare il suo tappetino: nessuno però lo sapeva lì, al massimo da buoni riccionesi sapevano orientarsi su dove fosse il mare… Diversità, bellezza del confronto, fiducia reciproca e frasi pronunciate da Mamadou stesso , che intervistato da un giornale locale, ha affermato con sorpresa:  “Quando mi è arrivato il permesso di soggiorno, hanno deciso di ospitarmi. Che fiducia hanno avuto a portarsi a casa uno sconosciuto, di giorno loro lavorano e io sono a casa loro da solo. Mi hanno dato persino le chiavi di casa”. E infatti la carità, quella vera come in questo caso, da parte di chi la fa non batte la gran cassa ma si fa conoscere da sola, tanto che Chiara, la figlia minore dei Galasso, tra l’altro anche sua coetanea, ha saputo dire: “Abbiamo sistemato casa, trovato spazio per lui e gli abbiamo dato un letto e un armadio… è stata una cosa che non mi aspettavo, capitata all’improvviso; ma spesso c’è da dire che le cose belle capitano così, all’improvviso, non programmate”.

Ci sono state anche difficoltà, ha spiegato spesso Mario a noi amici che facevamo il tifo per loro e imparavamo a conoscere Mamadou come uno di noi ormai senza etichette, ci sono stati problemi come i rapporti con la sempre presente separazione della sua terra, il ricordo del viaggio tremendo e del pericolo di morte e violenza costanti, il riannodato ma difficile rapporto col padre che Mamadou è riuscito a chiamare dopo un anno e mezzo che non si sentivano… Storie incredibili per noi che parliamo di barconi, profughi, sospetto e compassione per mamme gravide in mezzo al mare come un unico minestrone indistinto che oscilla tra indignazione, paura del diverso e giustizia sommaria. Non si sa poi alla fine verso chi… Questa storia però, in realtà anche tanto quotidiana e concreta, fa piazza pulita dei pregiudizi paurosi che possiamo avere e dà speranza. In fondo però mi ha fatto risuonare nel cuore anche la celebre frase nel Vangelo di Matteo, quando si afferma che Gesù nella sua terra “non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.” (Mt 13, 58). Quella stessa incredulità che ci fa pensare che un profugo mai sarà uno di noi con cui ridere se a una corsa campestre vince piadina e salame anche se è musulmano, gioire perché ha preso un buon voto a scuola e il suo italiano migliora di giorno in giorno, guardare il cielo sul terrazzo di casa cercando insieme la Mecca a naso in su… Che il dialogo interreligioso sia anche questo?

E così l’incredulità sommersa che in fondo un pochino abita in ognuno di noi, chi più chi meno, e prende spesso la forma del mostro del pregiudizio cieco che generalizza, ci impedisce di far fare al Signore i suoi miracoli come in questo caso. Un’incredulità che non prende solo la forma della mancanza di coraggio privata che impedisce di aprire all’accoglienza altre porte di casa nostra (spesso per mille ragioni anche nobilissime, ma pur sempre chiuse…. Eppure anche i Galasso ne avevano tante di ragioni per il no!), ma diviene un’incredulità “pubblica” che prende il volto di una burocrazia cieca e ostinata che ancora osteggia il miracolo avvenuto.

Il 13 dicembre, purtroppo, Mamadou, che nel maggio 2016 aveva ottenuto un permesso di soggiorno di due anni per motivi umanitari, aspetta la sentenza del giudice perché il Ministero dell’Interno, infatti, ha proposto appello contro la decisione del tribunale, chiedendo che la decisione venga annullata e il permesso revocato.

Sperando con tutto il cuore che questa incredulità “formalizzata” non si abbatta sul progetto di vita nuovo e meraviglioso che questo ragazzo sta vivendo in Italia, nella nostra Nazareth in fondo, facciamo il tifo per lui e gli auguriamo anche buon compleanno, dato che ha appena compiuto 21 anni e questa è stata per lui la sua prima festa di compleanno, non sapendo prima cosa fossero torte, candeline, tirate d’orecchi, un regalo da spacchettare e tanti abbracci in famiglia.

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