Isaia 53,3 in stazione

"Uno davanti al quale ci si copre la faccia... uno che fa ribrezzo a guardarlo...". E finalmente è stato il mio turno, e ho guardato.
14 Luglio 2018

Bari. Addì 12 luglio, dell’anno del Signore 2018, ore 19 circa.

Da via Capruzzi imbocco il solito sottopassaggio rosso.

In fondo alle scale si vede un uomo riverso, un barbone probabilmente, un povero Cristo.

Man mano che ci si avvicina, oltre il brusio e il tipico rumore di fondo dei luoghi di passaggio, si percepisce qualcosa, un rantolo forse, niente di gradevole comunque.

Chi mi precede, arriva in fondo, guarda e poi si volta. Non deve essere una vista piacevole, forse quel povero Cristo sta dando di stomaco.

Uno davanti al quale ci si copre la faccia… uno che fa ribrezzo a guardarlo…

E finalmente è stato il mio turno, e ho guardato.

Il povero Cristo non stava dando di stomaco.

Accanto a lui un bicchiere di plastica vuoto, sul pavimento qualcosa di biancastro, gelato, yogurt, granita di limone, … E lui, un uomo, con la cannuccia, stava succhiando… aspirava il cibo che si era versato sul pavimento.

Ecco, ora serve fermarsi e prendere fiato, perché la scena non è di quelle che si sopportano facilmente.

Era fame? disperazione? a un livello tale da non starci più con la testa? Oppure l’uomo si era ridotto in quello stato disgraziato proprio perché non ci stava con la testa?

E diventa pure irrilevante come e perché quel bicchiere di plastica si fosse rovesciato.

Ho guardato e, come tutti, ho girato la testa dall’altra parte.

Ho continuato a camminare verso la rampa che porta al binario 3.

E poi sono tornato indietro.

L’unica parola che ho saputo pronunciare è stata “basta”. E nella mano gli ho messo qualche euro (non c’era il solito cappello per l’elemosina).

L’uomo ha sollevato la testa. Non ho messo a fuoco se avesse qualche disabilità motoria, ricordo solo un occhio di vetro, uno sguardo assente.

Non ho saputo fare altro. L’ho lasciato che guardava, diciamo così, quella banconota da 5 euro.

E sono andato a prendere il regionale delle 19:05.

Continuando a chiedermi se avessi fatto bene a lasciare dei soldi, se non avrei fatto meglio a comprare un tramezzino o un gelato.

Continuo a chiedermi se non avrei dovuto rialzarlo quell’uomo, sincerarmi che la smettesse di succhiare quella poltiglia caduta sul pavimento che io, e centinaia di persone, calpestiamo ogni santo giorno.

E pure ora mi chiedo che senso ha mettersi a raccontare. Raccontare per raccontare, senza uno scopo, senza una morale, che non ci può essere.

Ma se una scena come questa neanche la raccontiamo, vuol dire che ci siamo anestetizzati.

A dire il vero, presi dalle mille cose, non è facile neanche alzare gli occhi e riconoscere l’incanto dei colori del cielo.

Ma se gli occhi sono rivolti in basso, è bene che rimangano almeno aperti. Sull’umanità disgraziata… e su noi stessi.

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