Il pellegrinaggio ai mercatini

Da vent'anni un boom che non conosce crisi, ma la casa di Babbo Natale "ha sloggiato Gesù". E un posticino per la sobrietà?
11 Dicembre 2012

Ci arrivano persone da tutt’Italia, organizzate con pullman e treni speciali, decise a portarsi a casa almeno un ricordino. I mercatini d’Avvento, moltiplicatisi ormai ben oltre l’area doc tirolese, mettono in movimento un pellegrinaggio laico che cresce da vent’anni: si anticipa e novembre e si prolunga a gennaio, non conosce crisi.
Secondo un freschissimo sondaggio Swg per Coldiretti, l’oggetto della “devozione” sono principalmente i prodotti enogastronomici (34%), ma anche decori natalizi (32%) e oggetti per la casa (26%). Vin brulè a litri, panini con wurstel e lucaniche per un fast food che insidia il kebah, prodotti possibilmente fedeli alla tradizione (candele fatte a mano, giacche di feltro, berretti morbidi), giretto sul trenino o, nel caso di un pacchetto turistico di più giorni, perfino in carrozza.
Del Natale di Betlemme, a parte la stella cometa utile per la segnaletica, sta resistendo soltanto la colonna musicale sparata dagli altoparlanti con un incredibile Stille Nacht. In alcune città di pianura “La casa di Babbo Natale”, morbida come quella di Hansel e Gretel. E chi va in cerca della statuina di un pastorello palestinese per arricchire i presepi domestici la trova col lumicino, a prezzi proibitivi.
Non è proprio una novità se già il 23 novembre 1980, girando per le vie di Zurigo addobbate con animaletti disneyani, Chiara Lubich constatava che “questo mondo ricco s’è accalappiato Natale e tutto il suo contorno, e ha sloggiato Gesù! Ama del Natale, la poesia, l’ambiente, l’amicizia che suscita, i regali che suggerisce… Punta sul Natale per il guadagno migliore dell’anno, ma a Gesù non pensa”.
Fra le interviste dei tiggì regionali, rituali come il servizio sulle prime rondini, l’altra sera una turista sopravvissuta alle code in autostrada, confessava con candore: “Cosa mi piace dei mercatini? L’atmosfera”. Ecco la risposta sincera per chi cerca il senso profondo all’origine del pellegrinaggio d’Avvento, “quell’atmosfera che affascina e un po’ ci illude” ammetteva la paginata del Corriere della Sera dedicata ai mercatini del week end, farcita di pubblicità.
Papa Raztinger, che ben conosce l’Adventkranz, notava all’Immacolata “il frenetico agitarsi che caratterizza le nostre città”, “che ci rende incapaci di fermarci, di stare tranquilli, di ascoltare il silenzio”, quel silenzio che ha avvolto l’Annunciazione, un incontro che “se accadesse ai nostri tempi, non lascerebbe traccia nei giornali e nelle riviste”.
Dei mercatini si parla da qualche anno anche con toni critici, anche negli ambienti cattolici, mirando a evitare una demonizzazione inutile ma anche una commistione potenzialmente ambigua: chi ha richiamato una selezione più attenta dei prodotti in vendita, chi ha fatto spuntare alla periferia del mercatino i banchetti della solidarietà (non solo le volontarie che incartano i regali), chi ha provato a inserire una sensibilizzazione sul “Natale dei popoli” (come il Comune trentino di Rovereto) e dei poveri, dedicando qualche piazza della città a mostre fotografiche o raccolte fondi all’insegna dello slogan “più solidarietà, meno business”.
Ma c’è posto per la sobrietà nei mercatini? Secondo la ricerca SWG in tempi di crisi il 62% degli italiani si affiderà a regali low cost rispetto allo scorso anno, ma forse la Coldiretti è ottimista (o si riferisce solo ai mercatini del contadino infrasettimanali) quando afferma che “gli italiani sono sensibili sia alla sostenibilità ambientale che all’etica sociale”.
Un giro fra le casette al profumo di cannella fa pensare ad un rito di massa ormai stagionale – come il gelato sul lungomar

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